Repubblica Cult 1.5.16
I tabù del mondo
Si fa presto a dire famiglia
La
vita umana non è la vita di una pianta o di un animale ha bisogno di
casa, radici, appartenenza non si accontenta della biologia, si nutre
dell’amore dell’Altro, esige di essere riconosciuta
Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con il sesso dei genitori o con la capacità di generare
di Massimo Recalcati
Esiste
davvero qualcosa come un istinto materno o un istinto paterno o forse
queste formulazioni contengono una profonda contraddizione in termini?
Famiglia
è ancora una parola decente che può essere pronunciata senza provocare
irritazione, fanatismi o allergie ideologiche? Famiglia è ancora una
condizione fondamentale e irrinunciabile del processo di umanizzazione
della vita oppure è un tabù da sfatare? Se c’è stato un tempo nel quale
essa appariva circondata da un alone di sacralità inviolabile non
rischia forse oggi di essere condannata come una sopravvivenza ottusa
della civiltà patriarcale? Sono solo i cattolici più intransigenti a
sostenere la sua esistenza come indispensabile alla vita umana?
Dal
punto di vista laico della psicoanalisi la famiglia resta una
condizione essenziale per lo sviluppo psichico ed esistenziale
dell’essere umano. La vita umana ha bisogno di casa, radici,
appartenenza. Essa non si accontenta di vivere biologicamente, ma esige
di essere umanamente riconosciuta come vita dotata di senso e di valore.
Lo mostrava “sperimentalmente” un vecchio studio di Renè Spitz sui
bambini inglesi orfani di guerra che dovettero subire il trauma della
ospedalizzazione ( Il primo anno di vita del bambino, Giunti 2009). La
solerzia impeccabile delle cure somministrate dalle infermiere del
reparto nel soddisfare tutti i bisogni cosiddetti primari dei bambini
non erano sufficienti a trasmettere loro il segno irrinunciabile
dell’amore. Effetto: cadute depressive gravi, anoressia, abulia,
marasma, stati di angoscia, decessi. Se la vita del figlio non è
raccolta e riconosciuta dal desiderio dell’Altro, resta una vita
mutilata, cade nell’insignificanza, si perde, non eredita il sentimento
della vita. Non è forse questa la funzione primaria e insostituibile di
una famiglia? Accogliere la vita che viene alla luce del mondo, offrirle
una cura capace di riconoscere la particolarità del figlio, rispondere
alla domanda angosciata del bambino donando la propria presenza. La
clinica psicoanalitica ha riconosciuto da sempre l’importanza delle
prime risposte dei genitori al grido del figlio. Non si tratta solo di
soddisfare i bisogni primari perché la vita umana non è la vita di una
pianta, né quella dell’animale, non esige solo il soddisfacimento dei
bisogni, ma domanda la presenza del desiderio dell’Altro; vive, si nutre
del desiderio dell’Altro. La vita umana non vive di solo pane, ma dei
segni che testimoniano l’amore. L’attualità politica ci impone a questo
punto una domanda inaggirabile: tutto questo concerne la natura del
sesso dei genitori? Essere capaci di rispondere alla domanda d’amore del
figlio dipende dalla esistenza di una coppia cosiddetta eterosessuale?
La famiglia come luogo dove la vita del figlio viene accolta e
riconosciuta come vita unica e insostituibile – ogni figlio è sempre
“figlio unico” , afferma Levinas,– è un dato naturale, un evento della
biologia? Siamo sicuri che l’amore di cui i figli si nutrono scaturisca,
come l’ovulo o lo spermatozoo, dalla dimensione materialistica della
biologia? Esiste davvero qualcosa come un istinto materno o un istinto
paterno o forse queste formulazioni che riflettono una concezione
naturale della famiglia contengono una profonda e insuperabile
contraddizione in termini? Se, infatti, quello che nutre la vita
rendendola umana non è il “seno”, ma il “segno” dell’amore, possiamo
davvero ridurre la famiglia all’evento biologico della generazione? Non
saremmo invece obbligati a considerare, più coerentemente, che un padre
non può essere mai ridotto allo spermatozoo così come una madre non può
mai essere ridotta ad un ovulo? La domanda si allarga inevitabilmente:
cosa significa davvero diventare genitori? Lo si diventa biologicamente o
quando si riconosce con un gesto simbolico il proprio figlio
assumendosi nei suoi confronti una responsabilità illimitata? Le due
cose non si escludono ovviamente, ma senza quel gesto la generazione
biologica non è un evento sufficiente a fondare la genitorialità. In
questo senso Françoise Dolto affermava che tutti i genitori sono
genitori adottivi. Generare un figlio non significa già essere madri o
padri. Ci vuole sempre un supplemento ultra- biologico, estraneo alla
natura, un atto simbolico, una decisione, un’assunzione etica di
responsabilità. Un padre e una madre biologica possono generare figli
disinteressandosi completamente del loro destino. Meritano davvero di
essere definiti padri e madri? E quanti genitori adottivi hanno invece
realizzato pienamente il senso dell’essere padre e dell’essere madre pur
non avendo alcuna relazione biologico-naturale coi loro figli? Questo
ragionamento ci spinge a riconsiderare l’incidenza del sesso dei
genitori. Ho già ricordato come l’amore sia a fondamento della vita del
figlio. Ma l’amore ha un sesso? Prendiamo come punto di partenza una
formula di Lacan: “l’amore è sempre eterosessuale”. Come dobbiamo
intendere seriamente l’eterosessualità? Questa nozione, per come Lacan
la situa a fondamento dell’amore, non può essere appiattita sulla
differenza anatomica dei sessi secondo una logica elementare che li
differenzia a partire dalla presenza o meno dell’attributo fallico.
L’amore è eterosessuale nel senso che è sempre e solo amore per l’Altro,
per l’eteros. E questo può accadere in una coppia gay, lesbica o
eterosessuale in senso anatomico. Non è certo l’eterosessualità
anatomica – come l’esperienza clinica ci insegna quotidianamente – ad
assicurare la presenza dell’amore per l’eteros! È invece solo
l’eterosessualità dell’amore a determinare le condizioni migliori
affinchè la vita del figlio possa trovare il suo ossigeno
irrinunciabile.