Repubblica 9.5.16
“Ecco il progetto europeo per tagliare i debiti pubblici”
Il piano proposto da un pool di economisti coordinati da Lucrezia Reichlin
intervista di Eugenio Occorsio
ROMA.
«C’è sempre meno appetito politico di più Europa e in molti Paesi si
alzano muri. Eppure anche con le istituzioni politiche che abbiamo si
può fare una riforma “minima” che renda l’Unione più robusta dal punto
di vista economico». Lucrezia Reichlin, economista della London Business
School, ha riunito studiosi «di varie tendenze» per proporre le riforme
possibili «senza cambiamenti radicali che non sono realistici né
ulteriori turbolenze». Il punto d’attacco è il debito pubblico, nodo
sottostante a tutte le incomprensioni fra i partner europei: se non si
risolve non si verrà a capo di nulla, «mentre il progetto europeo è
quanto mai a rischio con i vecchi problemi irrisolti che si sommano ai
nuovi come i rifugiati e la Brexit».
Cosa proponete?
«Di
instaurare un meccanismo che renda possibile la ristrutturazione del
debito pubblico in Paesi non solvibili. E per evitare che ciò sia
destabilizzante proponiamo che preventivamente sia concluso un patto per
abbattere subito una parte del debito ereditato dalla crisi con un
sistema che, a differenza degli eurobond, non implica garanzie comuni ma
utilizza risorse quasi esclusivamente nazionali».
Qual è il meccanismo?
«Quando
un Paese diventa a rischio si adotta una serie di misure preventive, ma
oltre un certo limite scatta la ristrutturazione secondo regole certe e
conosciute ex-ante. Per evitare che il meccanismo, con molti Paesi ad
alto debito, provochi attacchi speculativi, prima di arrivare a questa
riforma si deve negoziare il patto per abbattere una parte del debito
così da far tornare tutti a livelli tra il 90 e il 95%. Andrebbe creato
un fondo di stabilità che compri una parte del debito di ogni Stato e
finanzi gli acquisti e i costi per gli interessi con titoli di nuova
natura garantiti dalle entrate fiscali future dei Paesi».
Sembra quello che i tedeschi non accetteranno mai.
«Non
sono eurobond perché le risorse a garanzia sono nazionali e non c’è
mutualizzazione. Il fondo permette di scambiare debiti oggi non sicuri
con debiti sicuri. Il meccanismo di ristrutturazione poi garantisce
quella disciplina cara ai tedeschi che oggi non c’è».
Non c’è già il fondo di stabilità per i Paesi in difficoltà?
«Il
fondo di stabilità fornisce prestiti agevolati a Paesi in crisi di
liquidità che siano in grado di diventare solvibili con aggiustamenti e
riforme. Ma per i Paesi “solo” a rischio di non solvibilità non esiste
un approccio sistematico, se non soluzioni scelte ad hoc inefficienti e
costose. Si crea la scelta tra default disordinati e mix di austerità
eccessiva e prestiti perpetui. Come in Grecia».
Perché un meccanismo cosi
complesso invece che rispettare il patto di stabilità?
«Quando
i Paesi sono sotto stress le regole non si rispettano o si invoca una
flessibilità che mette a rischio la credibilità. L’architettura fiscale
europea è punitiva e irrealistica. Le crisi sovrane sono sempre
possibili anche con le regole più dure. Se avvengono vanno riconosciute e
non negate come abbiamo fatto con la Grecia continuando a dare soldi a
un Paese che non potrà mai restituirli, imponendo condizioni draconiane
che hanno devastato la popolazione. Dobbiamo evitare casi analoghi. Le
proiezioni dicono che anche se saranno rispettate le regole il debito
non diminuirà nei prossimi dieci anni in violazione dei patti. Abbiamo
bisogno di liberare risorse per stimolare l’economia e il patto sul
debito che proponiamo va in tal senso. Dare la possibilità di
ristrutturare indurrebbe una disciplina che oggi non c’è.
Un’architettura basata meno sulle regole e più sul mercato».