lunedì 9 maggio 2016

La Stampa 9.5.16
Proteste di piazza in Grecia contro nuove tasse e pensioni
Scontri tra manifestanti e polizia davanti al Parlamento
Oggi l’Eurogruppo per il via libera agli aiuti da 5,7 miliardi
di Emanuele Bonini

Le trattative a Bruxelles, le proteste ad Atene e i richiami da Washington. L’Eurogruppo in programma oggi nella capitale dell’Unione europea è straordinario, ma contesto e agenda non sono una novità: si cerca di chiudere la prima revisione del terzo programma di assistenza finanziaria alla Grecia e concedere nuovi aiuti alla repubblica ellenica. Una storia nota, per l’Europa. Il clima è reso ancor più teso da scioperi anti-austerità proclamati contro il governo di Alexis Tsipras e i suoi creditori, divisi. Anche questo è un copione già visto.
Impegni e garanzie di riforme in cambio della nuova tranche di aiuti (circa 5,7 miliardi) da erogare nell’ambito del piano di salvataggio da 86 miliardi in tre anni, dal 2015 al 2018, concordato l’anno scorso tra Atene e Bruxelles. L’unico punto all’ordine del giorno non renderà però la riunione di breve durata. I falchi vogliono dal Parlamento ateniese il via libera a riforme dalla portata di tre miliardi come misure d’emergenza da attivare nel caso in cui la Grecia non centri l’obiettivo di un avanzo primario del 3,5% del Pil nel 2018. Ma il Paese non può approvare leggi che non entrano in vigore, così il ministro delle Finanze ellenico, Euclid Tsakalotos, porterà ai colleghi di Eurolandia l’impegno politico a presentare misure aggiuntive quando se ne presenterà la necessità. Un po’ poco, come garanzia.
Germania in testa, il gruppo dei creditori europei più intransigenti (Slovenia, Paesi Bassi, Finlandia, Austria) vorrebbe garanzie precise, che la Grecia non può e non vuole fornire. Tsipras ha chiesto all’organo legislativo di riunirsi di domenica per votare le riforme, così da mostrare ai partner l’intenzione di stare ai patti, e sperare di strappare un accordo politico su misure d’emergenza da dettagliare al momento opportuno.
Più della Grecia però a bloccare i creditori è il Fondo monetario internazionale. Il direttore del Fmi ha chiarito che il suo istituto si chiamerà fuori se non verranno riviste le condizioni di assistenza alla Grecia. A Washington, ha spiegato Christine Lagarde nella lettera fatta recapitare in Europa nel fine settimana, «non si ritiene possibile» che Atene soddisfi l’obiettivo di avanzo primario del 3,5% nel 2018. Perchè il partner d’oltreoceano partecipi al programma di assistenza «è essenziale che finanziamento e ristrutturazione del debito siano basati su obiettivi fiscali che siano realistici e sostenuti da misure credibili» per raggiungerli.
La Commissione europea tira dritto, convinta che gli obiettivi fissati per Atene siano raggiungibili. Le bocciature del Fmi rischiano però di pesare, e non poco, sui lavori di oggi e sull’intero dossier. Va avanti per la strada segnata dagli accordi anche il Parlamento ellenico, chiamato a ieri a votare la stabilizzazione del sistema pensionistico ed un aumento delle tasse per complessivi 3,6 miliardi di euro. Si tratta di misure che si inseriscono nel pacchetto delle riforme concordato dal governo di Atene con i creditori. Le misure contro cui protestano i greci, e che hanno scatenato violenze di piazza davanti al Parlamento, sono le stesse su cui nutre dubbi il Fmi. E mancano quelle d’emergenza, ulteriore elemento di discordia, e di una possibile nuova crisi per l’Eurozona.