Repubblica 9.5.16
“Troppe paure e individualismi il futuro della Ue è a rischio”
Parla
il sociologo francese Marc Lazar: “L’Unione è oramai una sorta di capro
espiatorio su cui tutti sparano a zero. Per evitare che si disgreghi
occorre una vera battaglia culturale”
Serve una riforma delle istituzioni Per capire dove stiamo andando, il referendum sulla Brexit sarà decisivo
intervista di Anna Lombardi
«LA
paura è senz’altro il tratto unificante dell’Europa in questo momento.
Insieme, come mostrano i dati analizzati da Demos, a un grande senso di
ripiegamento che non lascia molta speranza sul futuro del progetto
europeo». Marc Lazar, professore di storia e sociologia politica
all’Istituto di Studi Politici di Parigi Sciences Po e alla Luiss di
Roma, non è particolarmente ottimista. «L’Europa è diventata una sorta
di capro espiatorio su cui tutti sparano a zero. E anche se la sua
storia è stata fatta anche da questi grandi momenti di crisi, che hanno
spinto a trovare nuove soluzioni, ora, con i movimenti populisti
scatenati, è sempre più complicato».
Che cosa ha determinato una crisi così profonda?
«Almeno
tre elementi. Il primo è naturalmente legato alla complessità della
situazione economica e politica che stiamo attraversando. Un altro è
dovuto al fatto che i due principali modelli di integrazione europea,
quello multiculturale britannico e quello dell’integrazione repubblicana
francese, sono chiaramente in crisi. A questo va aggiunta la paura
provocata dalla minaccia terroristica.
Se davvero solo il 10
percento dei francesi è favorevole al mantenimento della libera
circolazione delle persone, la spiegazione va cercata nel fatto che dopo
gli attentati di Parigi i migranti sono associati all’idea che fra loro
si insinuano i terroristi».
I dati sembrano mostrarci un’Europa
sempre più disgregata anche dal punto di vista generazionale. I giovani
sembrano più aperti, mentre la voglia di innalzare barriere cresce con
l’età… «Sarebbe interessante conoscere le differenze sociali all’interno
delle diverse fasce di età analizzate, a maggior ragione fra i giovani.
Mi sembra normale che chi ha un livello di istruzione più alto è più
portato a vedere le barriere come un ostacolo.
Mentre chi ha un
livello di istruzione inferiore ed è magari in una situazione più
difficile vede le cose diversamente. Ha più paura. Ovvio che la
cosiddetta generazione Erasmus è potenzialmente più aperta. Per mettere
le cose alla pari bisognerebbe inventare una qualche forma di Erasmus
anche per chi non ha accesso agli studi universitari. Potrebbe essere un
modo per non creare una generazione nella generazione di giovani
declassificati, ancor più precari degli altri, che subiscono ingiustizia
e forte ineguaglianza. C’è d’altronde un dato che mi colpisce molto
proprio fra i giovani…» Quale?
«L’accettazione della sorveglianza
generalizzata nei luoghi pubblici. L’85 percento dei giovani fra i 18 e i
24 anni è favorevole. Numero che scende al 23 per cento se invece si
tratta di leggere la posta privata, le email senza consenso. Differenza
che resta impressionante anche nelle altre fasce di età. Siamo ormai una
società sempre più individualista. Nello spazio pubblico la restrizione
della libertà è accettata. Nella vita privata, il rispetto della
libertà personale resta un valore. Un cambiamento culturale importante,
che non credo dipenda solo dall’effetto Snowden».
Quale futuro si prospetta dai dati analizzati?
«L’Europa
non può continuare così. Serve una riforma delle istituzioni, oltre
alla ripresa economica e alla riduzione delle ineguaglianze sociali, e
una nuova narrazione. Per capire dove stiamo andando, decisivo sarà il
risultato del referendum britannico. Per scongiurare il peggio
servirebbe una grande battaglia culturale. Purtroppo, a fare discorsi
coraggiosi è rimasto solo papa Francesco: è lui che ci ricorda
l’importanza della dimensione etica dell’Europa. Ma che sia il solo a
farlo, dimostra quanto oggi sia debole la politica in Europa».