Repubblica 9.5.16
L’Europa si chiude, cresce la voglia di confini, solo i giovani dicono no
L’Italia
è il paese più vecchio del continente: nel 2015 la popolazione è scesa
di 100mila unità, nel 2013 sono partite 95mila persone, per lo più sotto
i 30 anni
Anche per questo da noi, come in altre nazioni, cresce
il numero di quelli che vorrebbero alzare muri: i risultati dell’ultimo
sondaggio Demos
di Ilvo Diamanti
PAPA FRANCESCO,
come sempre, è stato molto chiaro. Questa volta, semmai, anche più di
altre. Perché si rivolgeva a una platea di re, ambasciatori, leader
politici ed economici. Fra gli altri: Schulz, Tusk, Juncker, Merkel,
Renzi, il re di Spagna Felipe VI. E Draghi. Tutti presenti, alcuni
giorni fa, alla consegna del Premio internazionale Carlo Magno al Santo
Padre. «Per l’impegno a favore della pace, della comprensione e della
misericordia in una società europea di valori». Nell’occasione, però, il
Papa ha rammentato quanto l’Europa, oggi, sia in difficoltà
nell’affermare i valori a cui si ispiravano i padri fondatori. Tanto
più, nell’affrontare il futuro. Perché l’Europa, oggi è una «nonna,
vecchia e sterile». Senza più ricordi.
Ieri, non per caso,
Francesco ha ricevuto in udienza gli uomini e le donne del Cuamm.
L’associazione dei Medici con l’Africa, che ha sede a Padova. Animata
per oltre cinquant’anni da don Luigi Mazzucato. Un viandante generoso,
che ci ha lasciati circa sei mesi fa. Il Cuamm è divenuto un crocevia
della solidarietà fra l’Italia e l’Africa. Dove ha inviato oltre 1000
medici volontari, negli ospedali dell’area subsahariana. Fra le più
colpite da malattia, miseria, povertà. Le origini principali delle
grandi ondate migratorie che, da tempo, si dirigono in Europa.
Attraversano il Mediterraneo, spinte dalla disperazione. Sfruttate da
mercanti di dolore. Migliaia e migliaia di “persone” — perché di tali si
tratta, anche se si tende a dimenticarlo — che, dopo lo sbarco, se ci
riescono, proseguono nel loro esodo difficile e talora penoso. Partono
dall’Italia, dalla Grecia. Dalla Turchia, dai Balcani. Dalla Spagna (di
cui si parla meno). E si dirigono a Nord. Verso i Paesi dove lo sviluppo
e il sistema del welfare offrono maggiori prospettive. E dove li hanno
preceduti altre persone, della loro rete familiare, del loro Paese.
Insieme
ai migranti, sono cresciute le inquietudini. E i muri. Comunque: i
controlli. Lungo i percorsi dell’esodo. Da Sud verso Nord. E fra un
Paese e l’altro. L’Austria sta accentuando la sorveglianza in diverse
direzioni. Non solo sul Brennero, in questi giorni al centro di
polemiche e di scontri. Ma anche ai confini con l’Ungheria, la Slovenia —
e, implicitamente, la Croazia e la Serbia. Un esempio seguito, in parte
anticipato, dall’Ungheria. Ma le “frontiere” stanno diventando
“barriere” anche altrove. In Macedonia, in Bulgaria. Inoltre, al confine
tra Paesi che hanno tradizioni civili e democratiche solide. Nel
Centro-Nord dell’Europa. Fra Gran Bretagna e Francia, a Calais. E, nei
momenti di grande flusso, anche tra Francia e Italia. Mentre la
Danimarca e i Paesi scandinavi difendono il loro welfare. Dagli “altri”
che vorrebbero accedervi. Il risultato di questo gioco di movimenti e
chiusure è il ri-sorgere delle frontiere. Meglio: delle “barriere”.
Perché
le frontiere servono. Definiscono confini in base a cui confrontarsi e
dialogare. Ma quando diventano blocchi, luoghi di controllo e
sorveglianza, allora, diventano ostacoli all’integrazione. Non solo
degli “altri”. Anzitutto, “fra noi”. Perché frenano l’integrazione e la
costruzione europea. D’altronde, i muri e le frontiere, oggi, hanno un
significato eminentemente simbolico. Vengono utilizzati a fini perlopiù
politici. Servono, cioè, ad assecondare le paure e ad alimentare i
populismi. Popoli alla ricerca di nemici. Figurarsi se — come ha
osservato Lucio Caracciolo — la frontiera del Brennero potrebbe
scoraggiare il passaggio dei migranti che intendono attraversare
l’Austria (per andare altrove, peraltro).
Tuttavia, in Europa,
cresce dovunque la domanda di sorvegliare i confini. Basta vedere i dati
del sondaggio di Pragma (febbraio 2016) per l’Osservatorio Europeo
sulla Sicurezza, curato da Demos per la Fondazione Unipolis. Nei Paesi
europei dov’è stata condotta l’indagine, coloro che “insistono” a
rivendicare frontiere aperte, in Europa, costituiscono una minoranza
limitata. Talora, molto limitata. Mentre la maggioranza dei cittadini
vorrebbe reintrodurre i controlli. Sempre. Non in circostanze
particolari. In Italia lo sostiene oltre metà delle persone
(intervistate). La domanda di chiusura, peraltro, risulta più elevata
fra le persone anziane. Dovunque. Parallelamente, la fiducia nell’Ue è
più alta presso i più giovani.
In Italia, il sentimento verso gli
“altri”, gli immigrati che giungono da lontano, si traduce in paura. Fra
tutti, ad esclusione dei più giovani (indagine Demos, aprile 2016). E
produce distacco, sfiducia nelle istituzioni, richiesta di nuove e
maggiori divisioni. Forse perché siamo il Paese più vecchio d’Europa.
Insieme alla Germania. Che, tuttavia, per questo, mostra un
atteggiamento verso gli immigrati ben diverso. Ispirato, cioè,
all’apertura “selettiva”. A favore di componenti demografiche (giovani) e
“professionali” particolarmente utili al mercato del lavoro. In Italia,
invece, di recente si assiste a un declino demografico inquietante. Nel
2015, ad esempio, la popolazione è calata di circa 100 mila persone.
Come non avveniva dal 1917-18. Cioè, dalla Grande Guerra. Perché in
Italia fanno meno figli perfino gli immigrati (come spiega l’Istat).
Mentre i giovani sono una “razza” in declino. E quando possono se ne
vanno. A studiare, lavorare e, infine, a vivere: altrove. Nel 2013,
infatti, dal nostro Paese sono partiti quasi 95mila italiani (più degli
stranieri arrivati nello stesso periodo). Soprattutto giovani in
possesso di titolo di studio elevato.
Così, diventiamo sempre più
vecchi, sempre più soli. Sempre più impauriti. E vorremmo chiuderci in
casa. Alzare muri e confini dovunque. Intorno a noi. Metafora
dell’Europa delineata da Papa Francesco. Ma ridursi a una terra
attraversata da frontiere e da muri non coincide con il sogno di Altiero
Spinelli, Robert Schuman e Jean Monnet. Evoca, semmai, un incubo. Noi
italiani, noi europei: chiusi in casa, in attesa dell’invasione, fra
anziani in mezzo ad altri anziani, monitorati da sistemi di allarme
sofisticati, sorvegliati da cani mostruosi, osservati da telecamere a
ogni passo e a ogni movimento. Ma come possiamo illuderci di essere
felici?