Repubblica 9.5.16
“Quel dizionario deve essere cambiato così un potere arcaico maltratta la cultura”
Parla la scrittrice Elif Shafak. “È un testo che va in mano ai giovani nelle scuole”
intervista di Marco Ansaldo
«COME
scrittore, ho esaminato il dizionario. E come scrittrice- donna, sono
furibonda che il dizionario della lingua turca contenga descrizioni
arcaiche e sessiste». Elif Shafak non solo è la figura di narratrice
impegnata che i lettori italiani ormai conoscono per i tanti suoi
romanzi tradotti, l’ultimo “La città ai confini del cielo” (Rizzoli). Ma
è un’autrice pubblicata in più di trenta lingue, e sempre molto attenta
all’uso della parola. I suoi ultimi testi, ad esempio, li ha scritti
direttamente in inglese.
Lei ha già twittato la sua rabbia per quello che è uscito sul dizionario. Come spiega quanto è successo?
«Facciamo
degli esempi concreti. Prendiamo la parola “sporco”. Il dizionario
descrive il termine come proprio “di una donna che ha le mestruazioni”.
Ecco, lo trovo inaccettabile. Quello che mi fa indispettire di più è che
questo testo venga usato nelle scuole, all’università. Mi chiedo: è
questo che insegniamo ai nostri giovani?».
Ma non trova singolare
che questo slittamento di termini arrivi adesso, in un periodo in cui la
Turchia è in preda a tensioni? Fare operazioni di questo tipo è tipico
dei regimi.
«È chiaro, la Turchia è un Paese sessista e
patriarcale. E così è il suo dizionario ufficiale. Il testo
dell’Accademia della lingua turca deve essere assolutamente riformato. E
ad essere cambiati devono essere entrambi: sia la mentalità dominata
dal maschilismo, sia il dizionario che la rispecchia».
Senta,
Elif, quello che stiamo vedendo in Turchia è un momento di grande
turbolenza, culminato la scorsa settimana con le dimissioni del premier
Ahmet Davutoglu in contrasto con il Presidente, Tayyip Erdogan. Lei come
lo vive?
«A proposito dei qui pro quo sulle parole le faccio
questo altro esempio di che cosa accade proprio in Parlamento. Nei
giorni scorsi un membro del Partito democratico dei popoli, curdo, ha
detto di voler fare una citazione da Oscar Wilde. Un parlamentare del
partito conservatore di ispirazione religiosa è saltato su contestando
l’idea di citare qualcuno che non fosse né musulmano né turco: “Lei non
ha esempi di questa cultura, di questa civiltà?”, gli ha obiettato. E in
quel frangente un altro esponente della formazione al potere confondeva
l’autore irlandese con gli Oscar, quelli di Hollywood. A quel punto una
deputata dello schieramento curdo ha chiarito: “Ma è Oscar Wilde. Non è
un premio, è una persona”. Ecco, siamo a questo punto».
La Turchia, dunque, continua a essere un Paese spaccato?
«In
modo totale. Sono due pianeti diversi: chi sostiene e continua ad
appoggiare il capo dello Stato, Recep Tayyip Erdogan; e chi invece, per
una serie di altre ragioni, è contro. E lui, che teoricamente dovrebbe
essere al di sopra delle parti, si rivela come il politico più divisivo
della storia moderna della Turchia».
Dal comico tedesco Jan
Boehmermann al giornalista Can Dundar. In questo periodo gli
intellettuali sono sotto il tiro del potere turco. Che reazione c’è nel
Paese?
«In passato avevamo una solida tradizione di humour nero.
La politica era sempre un ambiente rude, ma la gente poteva ridere dei
politici, poteva criticare. Ora non più».
E il modello turco, su cui in Occidente si sperava tanto?
«Quel
miscuglio unico di democrazia occidentale, secolarismo, cultura
islamica e società pluralistica, oggi è una retorica vuota. E in Turchia
milioni di persone meravigliose sono profondamente depresse,
demoralizzate, sole».
Ma poi, quella citazione su Oscar Wilde, in Parlamento?
«È caduta come tra i sordi. Era sulla volgarità del potere».