lunedì 9 maggio 2016

Corriere 9.5.16
Le staminali in Vaticano
di Giuseppe Remuzzi

Ecco i «miracoli» della medicina che i grandi scienziati per tre giorni hanno spiegato ai vescovi nella sala del Sinodo
«La terapia cellulare cambierà la medicina e la società»
Mai avrei pensato di trovarmi un giorno in Vaticano nell’aula nuova del Sinodo (dove si incontrano i vescovi di tutto il mondo) con intorno scienziati che parlano di cellule staminali e malati un po’ speciali. Gary Hall, per esempio, affetto da diabete, che a dispetto della malattia vince la medaglia d’oro nei 50 metri stile libero per ben due volte, prima a Sydney e poi di nuovo ad Atene.
Al Convegno «Cellular Horizons» («Gli orizzonti della terapia cellulare: come scienza, tecnologia, informazione e comunicazione cambieranno la società»), Hall strega la platea con garbo e sense of humour e con la grinta di chi ha saputo vincere una sfida impossibile. E adesso ne ha davanti un’altra, far crescere la sua fondazione messa su per raccogliere fondi per la ricerca sul diabete giovanile, che un giorno forse si curerà con le cellule staminali. Questo almeno è quello che sostengono Henry Anhalt e Jeffrey Bluestone, che nell’aula nuova del Sinodo fanno già vedere i primi risultati. Sullo schermo adesso scorrono sequenze di geni, e le corrispondenti proteine e cellule del sangue che si moltiplicano per poi fagocitare le cellule dell’autoimmunità.
Nella sua introduzione al Convegno organizzato da Pontifical Council for Culture (in inglese, perché questo è un congresso per il mondo) il Cardinale Ravasi — artefice di tutto questo e gran cerimoniere — parte da lontano, dai Greci, «da cui dipende tutto quello che è successo da allora a oggi qui in Occidente», e poi fa riferimento a Socrate, «una vita senza ricerca non merita di essere vissuta» così almeno Platone — nei Dialoghi — assicura di avergli sentito dire. Chi lo anima un incontro così? Chi introduce gli ospiti? Chi modera? Tante persone speciali.
Le cellule modificate
La prima è Robin Roberts, quella di «Good Morning America» della ABC. Adesso sta benissimo, ma ha passato anni terribili: un cancro della mammella, di quelli che vanno male, curato e guarito grazie a un trapianto di midollo. Robin nel frattempo ha convinto 56.000 persone nel mondo a diventare donatori di midollo. La sua storia è l’occasione per parlare di certe malattie dei bambini, una volta mortali e che ora non lo sono più. Robin Roberts introduce Nicholas Wilkins colpito da una leucemia acuta a soli quattro anni; il trapianto di midollo non è servito e Nicholas è stato curato con le sue cellule, prelevate dal sangue e modificate geneticamente perché potessero combattere la leucemia. Missione compiuta, Nicholas sta bene, e si vede. Ma per questo si è dovuto manipolare il Dna. E i Vescovi? Neanche una piega.
La storia più struggente è forse quella di Elana Simon; a 12 anni le trovano un carcinoma del fegato — fibrolamellare, dicono i medici —: non ci sono cure e di solito si muore. Ma per Elana si mobilita tutta sua la famiglia di cui si analizza il Dna alla ricerca di varianti che potrebbero aver causato il tumore. Ce ne sono 600 e si lotta contro il tempo: dopo mesi di studio si arriva a 18 e poi a una sola, quella incriminata. E così arriva la cura; c’è anche Elana nell’aula nuova del Sinodo, in gran forma. (Ravasi è affascinato da questi medici che smontano e rimontano e poi guariscono, come nei miracoli di una volta, e gli viene in mente Democrito che definiva l’uomo mikròs kósmos , «ci sono — aggiunge — tanti neuroni nel cervello di uomo quante sono le stelle della Via Lattea», come dire che ciascun uomo riassume in sé l’universo intero).
Tutto questo però costa moltissimo, se lo può permettere solo chi è molto colto e molto ricco. E il cancro dei poveri chi lo cura? In Vaticano si parla anche di questo. Eugene Gasana e Tanya Trippett lavorano per guarire i tumori dei bambini dell’Africa; con la loro fondazione sono partite dal Ruanda, adesso lì le cose funzionano. Chissà che un giorno non possa succedere in tutti i Paesi poveri per il cancro ma anche le malattie rare. Per queste gli scienziati, che si chiedono se quello che finora non hanno saputo fare i farmaci lo potranno fare le cellule staminali o la terapia genica, mostrano ciò che è stato fatto finora.
Con le staminali si curano già gravi immunodeficienze e poi certe malattie degli occhi e forse l’atassia teleangectasica (una patologia del sistema nervoso) e l’epidermolisi bollosa. Non molto per adesso ma è comunque un primo passo, quando una porta si apre anche solo un pochino poi è più facile infilarci dentro qualcosa e costringerla ad aprirsi del tutto. Quanto al cancro gli scienziati sono convinti che la strada giusta sia quella di insegnare al sistema immune ad uccidere le cellule cancerose come se fossero batteri. Ed è curioso che chi ha avviato questa linea di ricerca non sia un immunologo ma un chirurgo dei trapianti, Patrick Soon-Shiong, c’era anche lui in Vaticano e ci è stato per tutti e tre i giorni.
Sconfiggere il cancro
Tutto questo però comporta grandissime competenze, super computer e tecnologia da capogiro, insomma la guerra contro il cancro nessuno la vince da solo, serve un’alleanza fra accademia, industria, fondazioni private e l’impegno dei governi. «Noi ci siamo, assicura il vicepresidente Joe Biden, l’America ci prova dai tempi di Nixon; il suo sogno, battere il cancro in dieci anni non si è realizzato ma adesso siamo vicini». Papa Francesco parla invece di malattie rare e in pochissimi minuti dà agli scienziati un messaggio importantissimo, forse il più importante di tutto il Convegno: «Grazie ‎per quello che fate ma attenzione, prima vengono gli ammalati poi il profitto».
Poco dopo Gregory Stock, professore di Genomica a New York, nel dialogare con Nicanor Austriaco — un frate domenicano che insegna Teologia a Princeton — dice apertamente che in futuro gli uomini saranno migliori grazie all’ingegneria genetica. «Forse», risponde il frate-professore senza alcun imbarazzo, «o forse no». Ma Stock va avanti per la sua strada, con argomenti molto convincenti (lui è quello del libro Ridisegnare l’uomo ). È il turno dei grandi filantropi, che in Vaticano hanno potuto toccare con mano i risultati della loro generosità e della loro visione del mondo. Chi erano queste persone così sensibili ai problemi della salute dell’uomo? Bosarge, Parker, Sanford, Krabbenhoft, tutti americani; in questo l’Europa e specialmente l’Italia è indietro e il gap, come si dice, forse è incolmabile. Gap di sensibilità più che di soldi.
Nessuna pecca in questo Convegno? Una forse, niente discussione. Ma la scienza era così alta, così libera, così povera di pregiudizi, così sofisticata — e persino così disinvolta fra «profit» e «non profit» — che forse è stato un bene. E chi si aspettava tutto questo in Vaticano? (e sì che molti considerano la Chiesa contro la scienza, la tecnologia, il progresso in una parola).
Non si va via dal Vaticano senza un dono. «Che sarà mai? — mi chiedo — Un libro? Un piccolo ricordo reso unico dalla benedizione del Papa?». No, un anello della tua misura con dentro un chip che rileva i battiti del tuo cuore, gli atti respiratori, la pressione del sangue, quanto hai camminato, quante ore hai dormito, e tanto d’altro. I risultati poi li leggi sul telefonino dove c’è un’app apposta per questo.
Grazie don Tomasz (Trafny) per tre giorni davvero indimenticabili.