domenica 8 maggio 2016

Repubblica 8.5.16
L’8 maggio sia la festa dei diritti delle madri
di Chiara Saraceno

NEL GIORNO della festa della mamma è bene ricordare che le mamme italiane sono insieme tra le più denigrate per quanto succede ai loro figli (dall’accusa di mammismo che impedirebbe ai figli di diventare autonomi, a quella di narcisismo se appena distolgono lo sguardo da quello che viene loro assegnato come compito principale, se non esclusivo) e le meno sostenute nella vita quotidiana. Il Rapporto di Save the Children reso pubblico qualche giorno fa — “Le Equilibriste, da scommessa a investimento: maternità in Italia” — riprende e allarga quanto era già emerso dal rapporto “Come cambia la vita delle donne”, una delle ultime fatiche curate per l’Istat da Linda Laura Sabbadini e dalle sue collaboratrici.
In Italia ci sono oltre 4 milioni e mezzo di donne che vivono con figli dagli 0 agli undici anni, ovvero con un’età che richiede ancora una forte intensità di cura e presenza. Sono le donne che fanno più fatica a stare nel mercato del lavoro proprio per il carico di lavoro non pagato e più in generale delle responsabilità di cura e supervisione genitoriale loro attribuite in modo quasi esclusivo. In tutte le fasce di età, e soprattutto tra i 30 e i 49 anni, infatti, il tasso di occupazione delle donne che vivono da sole è simile a quello degli uomini. Ma a differenza di quanto avviene ormai da decenni negli altri Paesi sviluppati, già il vivere in coppia provoca una diminuzione. La diminuzione, quindi la distanza rispetto ad un tasso di occupazione maschile che non è certo tra i più alti in Europa e nell’Ocse diviene molto marcata quando si tratta di madri: 35 punti di differenza per le 25-29enni, 34 punti per le 30-34enni, in aumento per ogni figlio aggiuntivo.
Simmetricamente, cresce il distacco dagli uomini, dai padri, nel carico di lavoro non pagato. Nelle coppie le donne fanno il 76,5% di tutto il lavoro famigliare, una percentuale di poco inferiore a quella rilevata nel 2003, senza molte differenze tra chi ha e chi non ha figli. Ciò significa che, a fronte dell’aumento del lavoro famigliare dovuto alla presenza di figli, una volta divenuti padri gli uomini, nel migliore dei casi, ne fanno qualche mezzora in più, ma non modificano la propria quota complessiva. Ciò spiega il divergente comportamento di madri e padri nel mercato del lavoro, con conseguenze su redditi personali, carriere, contributi pensionistici e futuro ammontare delle pensioni, asimmetrie nei rischi economici e organizzativi in caso di rottura di coppia. Le madri separate e divorziate, infatti, da un lato sono a rischio di caduta in povertà, dall’altro devono essere disponibili a stare (o rientrare) nel mercato del lavoro in maggior misura di quelle ancora in coppia, nonostante debbano per lo più far fronte da sole, senza alcun contributo del padre, anche al lavoro familiare legato alla presenza dei figli. Il tutto in una situazione in cui l’offerta di servizi per l’infanzia e di scuole a tempo pieno, già non generosissima e fortemente diseguale sul territorio nazionale, si è ridotta e/o è diventata più costosa, rendendone difficile l’accesso ai ceti più modesti e in cui la precarietà del lavoro rende particolarmente vulnerabili le madri.
Si spiega così come mai l’Italia sia solo al 111 posto su 145 Paesi nel Rapporto globale sulla disparità di genere per quanto riguarda l’accesso al lavoro remunerato.
Naturalmente esistono forti differenze e diseguaglianze tra madri: tra chi ha una istruzione elevata (laurea) e chi una bassa (scuola dell’obbligo), tra chi vive nel Centro-Nord e chi vive nel Mezzogiorno. Secondo il Rapporto di Save the Children, tenendo conto di indicatori diversi (tassi di occupazione, servizi, divisione del lavoro famigliare), la regione più “amichevole verso le mamme” risulta essere il Trentino Alto Adige, seguito nell’ordine da Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Piemonte e poi dalle altre regioni del nord, che mostrano in generale condizioni più favorevoli alla maternità. In fondo alla classifica è la Calabria, preceduta di poco da altre regioni del Mezzogiorno come Puglia (16), Basilicata (17), Sicilia (18) e Campania (19).
Anche rispetto alla maternità, quindi, le disuguaglianze sociali e territoriali disegnano un’Italia in cui le chance di vita e i gradi di libertà nell’utilizzarle sono più accentuate di quanto non sarebbe accettabile in un Paese democratico. Non deve perciò stupire che oggi siano proprio le regioni meridionali, che tradizionalmente avevano tassi di fecondità più alti di quelli del Centro-Nord, a contribuire in maggior misura al bassissimo tasso di fecondità rilevato nel nostro Paese. Per festeggiare davvero le mamme, più che una festa simbolica e zuccherosa una volta all’anno, occorrerebbe ampliare i loro gradi di libertà e non costringere le donne, specie quelle più svantaggiate, nella alternativa maternità o lavoro di sapore ottocentesco.