Repubblica 8.5.16
Da Putin alla Cina ora i regimi processano le Ong
di Roberto Toscano
Puntando
sullo sconcerto dei propri cittadini nei confronti del grande disordine
mondiale, frutto avvelenato di una globalizzazione contraddittoria e
parziale (crisi economica, flussi migratori, terrorismo), in un numero
crescente di Paesi chi governa cerca di legittimarsi riaffermando il
monopolio del proprio potere all’interno e della propria sovranità in
campo internazionale, presentati come unico antidoto all’anarchia e come
indispensabile strumento sia identitario che di sicurezza.
La
società civile viene considerata una fastidiosa interferenza nella
misura in cui è autonoma e non sottoposta al controllo dello Stato.
Nello stesso tempo le organizzazioni non governative, impegnate su
terreni quali la tutela dei diritti delle minoranze, la libertà di
stampa o le cause ambientali, sono viste — soprattutto se collegate a
livello internazionale e quindi meno sottoposte ai condizionamenti
interni — come un’inammissibile contraddizione rispetto a questo
disegno. Un disegno che appare oggi sempre più consistente e diffuso di
ostilità verso gli stranieri, costruzione di muri e priorità della lotta
contro le minacce alla sicurezza di cui non si vogliono vedere né le
cause reali né i possibili rimedi, che è invece illusorio pensare di
poter trovare a livello nazionale.
Un titolo del quotidiano
spagnolo El País così definisce la situazione: “Gli autocrati del mondo
contro la società civile”. È vero, ma dietro questo attacco non ci sono
solo gli autocrati. Faremmo bene ad essere coscienti del fatto che la
minaccia è molto più vasta ed inquietante, e che le sorti delle Ong
saranno le stesse di quelle della democrazia.
Dietro la difesa nazionale si nasconde la censura verso chi tutela i diritti
TEMPI
duri per le organizzazioni non governative, quelle Ong che, nella
visione troppo ottimista che negli ultimi anni i fatti hanno un po’
dovunque smentito, avrebbero dovuto costituire uno degli elementi di
governabilità di un mondo globalizzato.
Non meraviglia di certo
che punta di lancia di questa regressione sia la Cina, un Paese in cui
oggi l’apertura economica è accompagnata sotto il profilo politico, con
la leadership sempre più personale di Xi Jinping, da un’accentuazione
della chiusura autoritaria. Sulla base di una legge approvata
definitivamente a fine aprile e che entrerà in vigore il 1 gennaio 2017,
le Ong straniere che operano nel Paese (oggi sono più di 10mila)
potranno farlo unicamente se otterranno la sponsorship di un organismo
ufficiale cinese.
INOLTRE, esse saranno tenute a registrarsi
presso il ministero per la Sicurezza, che potrà esaminare in qualsiasi
momento ogni aspetto del loro funzionamento, in particolare quelli
finanziari. Queste nuove norme non hanno mancato di suscitare immediate
perplessità e proteste anche a livello internazionale, alle quali ha
risposto un esponente governativo cinese con un impagabile: «Ma se non
hai infranto la legge, di che cosa hai paura?».
Niente di
sorprendente, si potrebbe dire. Una semplice conferma della natura del
sistema politico cinese, così come non è certo sorprendente che il
regime egiziano sottoponga le Ong a una dura e sistematica repressione,
spesso con il pretesto di voler controllare i finanziamenti provenienti
dall’estero.
Quello che dovrebbe invece far riflettere è che il
caso cinese o quello egiziano sono tutt’altro che isolati, e coincidono
invece con quanto sta ultimamente accadendo in sistemi politici in cui
esistono elezioni, parlamenti, pluripartitismo.
In India — la più
grande democrazia del mondo ( largest e non greatest, andrebbe
precisato) — il governo nazionalista del primo ministro Modi sta
applicando in modo molto stringente il Foreign Contribution Regulation
Act, che sottopone a sistematici controlli tutte le Ong che ricevano
fondi dall’estero. I controlli vertono soprattutto sugli aspetti
finanziari e fiscali, ma la loro finalità è scopertamente politica.
Negli ultimi tempi sono state ritirate le licenze di circa 9mila Ong
accusate di irregolarità fiscali. Sono prese di mira in particolare Ong
che operano nel settore della tutela dell’ambiente, un campo in cui
esistono in India problemi gravissimi a causa dell’assoluta priorità che
il governo attribuisce, ignorando ogni considerazione ambientale, allo
sviluppo economico. Non è un caso che recentemente Greenpeace India sia
stata accusata dal governo indiano di operare in violazione delle norme
sul finanziamento estero delle Ong e i suoi fondi siano stati messi
sotto sequestro.
In Ungheria, Paese membro dell’Unione Europea,
alcune Ong che hanno pubblicato rapporti su episodi di corruzione e
distorsioni di un sistema formalmente democratico ma sempre più
illiberale — come del resto rivendicato, e non solo ammesso, dal primo
ministro Viktor Orbán — sono state sottoposte a uno stillicidio di
controlli fiscali di tipo chiaramente pretestuoso e vessatorio. A fare
le spese di questo giro di vite è stata soprattutto Transparency
International, sottoposta a perquisizioni e al sequestro di documenti.
Ma
il caso più significativo, più inquietante di attacco alle Ong è quello
che si registra nella Russia di Vladimir Putin. Un caso che precede la
recente normativa cinese, dato che si tratta di una legge del 2012 che
impone alle Ong che ricevano donazioni dall’estero di registrarsi come
“agenti stranieri”. Se non lo fanno, vengono iscritte d’autorità come
tali (attualmente risultano registrate 115 Ong, tutte d’autorità a parte
quattro). “Agenti stranieri”: un termine che soprattutto in Russia
evoca sinistre reminiscenze, a partire da quelle dei processi
staliniani, le cui vittime erano invariabilmente accusate di essere al
soldo di potenze straniere. Qui cadono i pretesti di natura burocratica,
finanziaria o fiscale, ed è lo stesso Putin a non lasciare dubbi
quando, riferendosi alle Ong, dichiara: «Qualsiasi interferenza diretta o
indiretta nei nostri affari interni, qualsiasi forma di pressione sulla
Russia, i nostri alleati e i nostri partner, è inaccettabile».
Ma
non si tratta solo della registrazione. Ormai sono frequenti le vere e
proprie retate nei confronti delle sedi russe di Ong internazionali (ne
sono state oggetto, fra le altre, Amnesty International, Human Rights
Watch, Transparency International) spesso accompagnate, con palese
intento propagandistico, da troupe della televisione di Stato. Come se
non bastasse, nel 2015 alle norme sugli “agenti stranieri” ne sono state
aggiunte altre, ancora più drastiche. Si tratta della “legge sulle
organizzazioni indesiderabili” (sic), che dispone la repressione nei
confronti di Ong che “minacciano l’ordine costituzionale, le capacità di
difesa o la sicurezza dello Stato russo”.