Repubblica 7.5.16
Il male antico chiamato corruzione
Dai greci a Shakespeare nel film di Roberto Andò scorre un vizio secolare
di Eugenio Scalfari
DOMENICA
scorsa tra i vari temi che ho esaminato e che gravi, anzi gravissimi,
affliggono il nostro Paese ma anche l’Europa, ho indicato la corruzione.
Oggi ritorno su questo argomento da un altro punto di vista, quello
dell’arte e della cultura: non da millenni i romanzi, il teatro, la
filosofia, il cinema da quando esiste, hanno creato personaggi dominati
dalla corruzione e questo dimostra che non si tratta di cose
occasionali, dovute soltanto a istituzioni difettose, mancanza di
controlli, strutture politiche e giudiziarie mal fatte che la rendono
più diffusa o addirittura ne stimolano l’esistenza. La carenza di
controlli certamente rende più facile quel malanno sociale, ma esso è
intrinseco all’anima degli individui di tutte le epoche e di tutti i
luoghi. Se così non fosse gli autori delle più varie opere non ci
racconterebbero le gesta di corrotti e di corruttori che hanno
storicamente pervaso la società in tutto il mondo.
SEGUE A PAGINA 49
Dai
tragici greci a Manzoni, da Dante a Shakespeare. Fino a “Le
confessioni” di Roberto Andò con Toni Servillo. Ecco perché siamo
destinati alla “caduta”
La tragedia greca ritrae la corruzione
come uno degli elementi portanti dei protagonisti — Euripide, Sofocle e
Aristofane in particolare. E altrettanto è accaduto nell’antica Roma e
basta leggere Cicerone e Ovidio e Virgilio per cogliere questo fenomeno
in tutta la sua dimensione. E se vogliamo osservare altre epoche ed
altri autori vediamo la corruzione perfino alla corte di re Artù e poi
nell’Eneide di Virgilio, nelle opere di Agostino, nella patristica
cristiana.
Montaigne dedica ad essa molte pagine degli
Essais, La Fontaine ne parla in parecchie delle sue poesie, La Rochefoucauld nelle sue Massime.
Nell’Inferno
dantesco i corrotti affollano le Bolge. Ma l’autore centrale che
descrive e stigmatizza corrotti e corruttori è Shakespeare.
In
Italia dopo Dante, Boccaccio, Savonarola, Ariosto, ecco Manzoni quanto e
forse più di Shakespeare. Leopardi nelle Operette morali e nello
Zibaldone.
Quindi Voltaire, Rousseau, Diderot, Victor Hugo,
Stendhal, Pareto, Mazzini. Carlo Marx ne ha fatto addirittura elemento
principale del capitalismo.
L’elenco insomma è interminabile, i nomi che ho qui disordinatamente menzionato sono soltanto alcuni.
Ma
se veniamo ai tempi nostri direi che la corruzione è sempre di più
l’elemento centrale di moltissimi autori nel romanzo, nella saggistica,
nello spettacolo teatrale e cinematografico. I nomi si rincorrono e si
moltiplicano. Verga, I Viceré, Pirandello, Sciascia, Carducci,
D’Annunzio, Pasolini, Ettore Scola, Umberto Eco, Saviano e la sua
Gomorra.
Quanto al cinema americano, basterebbe il nome di alcuni
attori che hanno impersonato di volta in volta i corrotti, i corruttori e
quelli che rappresentano la lotta contro la corruzione — compito
essenziale della loro vita: da Charlie Chaplin a Clark Gable a Michael
Douglas a Robert Redford e soprattutto Burt Lancaster e Humphrey Bogart,
protagonisti di film nei quali la corruzione e se necessario la
violenza sono dominanti. Perfino Il Gattopardo ne è un esempio.
Il
più recente dei film italiani che ne è una sorta di breviario dove la
corruzione diventa addirittura omicidio è Le confessioni di Roberto
Andò, con protagonista Toni Servillo travestito da monaco certosino. Si
svolge in un elegante albergo in Svizzera dove si radunano i capi delle
multinazionali che dominano il capitalismo, riuniti a congresso dal loro
presidente. Alla riunione partecipa anche il monaco certosino che ha
studiato a fondo il tema della corruzione, alla quale gli uomini
d’affari lì riuniti si dichiarano non solo estranei ma addirittura
mobilitati in nome d’un capitalismo robusto e sano, dedito a produrre
profitti attraverso il lavoro socialmente utile e opere socialmente
benefiche.
Il presidente di quel congresso tuttavia sente dentro
di sé una sorta di rimorso che lo induce a confessarsi, spinto anche
dalle esortazioni del monaco. Alla fine viene ucciso. L’ultimo che l’ha
incontrato è il monaco ed è quindi su di lui che cadono i sospetti e un
processo promosso da giudici anch’essi corrotti. Nel frattempo altri
omicidi vengono commessi dai convenuti che si eliminano tra loro, i più
forti contro i deboli per accentrare le risorse in poche mani. In
conclusione sono tutti arrestati ed anche il monaco che però riesce a
fuggire.
Il significato del film, reso benissimo da Toni Servillo,
dimostra che la corruzione è un elemento che caratterizza la natura
della nostra specie in ogni tempo, connesso con la ricerca altrettanto
indefessa del potere e della guerra per ottenerlo. Merita d’esser visto
quel film, con la speranza che riesca a curarci e guarirci (?) da una
natura così perversa e ampiamente diffusa.