Repubblica 7.5.16
Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore di
Milano, parla delle inchieste sui politici. Difende i pm di Lodi, ma
avverte: “L’arresto è l’estrema ratio”
“Il governo faccia riforme e lasci stare i complotti”
ntervista di Liana Milella
ROMA. «Il governo non pensi ai complotti, ma attui le riforme». Dice così l’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati.
Ogni
giorno aumenta la tensione tra la politica e i magistrati. Si respira
un’aria da conflitto berlusconiano. Il Pd contro le toghe. Le toghe,
vedi Morosini, contro il Pd. È la nuova puntata di una guerra già vista?
«È
inevitabile che indagini penali che toccano esponenti politici abbiano
grande rilievo mediatico e provochino reazioni e critiche. Ma le guerre e
le teorie del complotto fanno danni a tutti. Meglio misurarsi con i
casi specifici e piuttosto affrontare i problemi che le indagini penali
hanno messo in luce».
A Lodi il gip conferma l’arresto del sindaco Uggetti. Sale sulle ferite. A vederla dall’esterno, poteva evitarlo?
«L’indagine
di Lodi, per la celerità e la tempestività, ha stroncato ogni accusa di
giustizia ad orologeria e c’è da augurarsi che questo pseudo argomento
esca dal dibattito politico definitivamente. Non è mancato invece lo
pseudo argomento della giovane età delle colleghe, quasi che di fronte a
un’ipotesi di reato avrebbero dovuto attendere di maturare una maggiore
anzianità di servizio ».
Sì, ma l’arresto?
«Non intendo
entrare nel merito della vicenda che ha i suoi giudici. E per fortuna è
rapidamente rientrata l’idea che il Csm potesse intervenire sul caso. Mi
limito a due osservazioni di carattere generale. Uno: il reato di
turbativa d’asta è un reato grave e non esistono turbative d’asta a fin
di bene. Due: il confronto sul tema del ricorso alla custodia cautelare
in carcere dev’essere sempre aperto».
Hanno esagerato?
«Il
carcere è l’extrema ratio riservata ai casi in cui ogni altra misura sia
inefficace. Lo impone l’art. 275 del codice di procedura penale nel
quadro di un processo ispirato ai valori della Costituzione. Il 28
aprile, parlando alla Scuola della magistratura di Scandicci il
presidente Mattarella ha detto: “È compito del magistrato scegliere, in
base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni
consentite quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione
della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli
interessi coinvolti».
Al Pd l’arresto di Lodi però non va giù, ci vede la conferma di una giustizia ad orologeria.
«La
critica ai provvedimenti dei magistrati, anche severa, è essenziale in
democrazia. Purché fatta di argomenti e non di invettive o
delegittimazione. Alcune reazioni sono state fuori misura. Ma non
mancano dichiarazioni di tono rispettoso. Soru, condannato a una pena
severa per un grave reato di evasione fiscale, ha reagito così: “È una
sentenza ingiusta, a mio avviso”».
Eppure, a leggere l’intervista
di Morosini, pare proprio di cogliere un umore cattivo verso il Pd.
Quale sarebbe la sua reazione se finisse sotto processo disciplinare?
«Lui
ha smentito di aver rilasciato le dichiarazioni che gli sono state
attribuite in virgolettato, che sarebbero state certamente inopportune.
La questione dovrebbe essere considerata chiusa. In ogni caso e in via
generale l’azione disciplinare dev’essere estremamente prudente quando
si tratti di opinioni e in questo senso c’è una consolidata
giurisprudenza al Csm».
C’è una grave questione morale nel Pd e nella politica?
«Che
esista un problema persistente e grave di corruzione nel Paese e nella
politica mi pare fuori discussione anche se non giovano le
generalizzazioni e sono fuorvianti le semplificazioni dell’accostamento a
Tangentopoli. I magistrati fanno doverosamente le indagini e spesso con
grande efficacia nonostante la nota difficoltà ad accertare fatti in
cui corrotto e corruttore sono legati dal patto del silenzio. Ma alla
magistratura non può essere delegata la “questione morale”: i magistrati
si occupano della “questione penale” e dei casi specifici, il resto,
che è quello che più conta, spetta alla politica e ancor prima alla
società civile. Se si addita la corruzione come un cancro della nostra
società l’80% degli intervistati dice di concordare... compresi magari
alcuni che in quel momento stanno pagando mazzette».
Morosini ha parlato (ma nega di averlo fatto). Ma fino a che punto una toga può dire quello che pensa?
«I
magistrati prima ancora che il diritto di espressione del pensiero
direi che hanno il dovere di portare il loro contributo di riflessione e
di esperienza sui problemi della giustizia. Se parlano anche
indirettamente delle loro inchieste creano un pericoloso cortocircuito
quasi che la solidità delle inchieste si fondi sul grado di consenso
dell’opinione pubblica. Ma il magistrato non deve mai dimenticare che la
sua opinione sui problemi della giustizia ha un peso particolare per il
ruolo che svolge: si possono esprimere opinioni nette e precise, ma con
argomenti e con sobrietà. Si deve rifuggire dalla comunicazione
strillata e dalla fuorviante semplificazione della battuta».