Repubblica 6.5.16
Caos Turchia, si dimette il premier
Lascia
Davutoglu, scontro con Erdogan sulla questione della minoranza curda e
la deriva autoritaria Era l’uomo del negoziato con l’Ue sui profughi.
Ora in corsa il ministro dell’Energia, genero del presidente
di Giampaolo Cadalanu
LA
SPERANZA dell’Occidente di arginare Recep Tayyp Erdogan e di fermare la
Turchia sulla strada dell’autocrazia si è infranta: Ahmet Davutoglu,
premier e leader del partito, considerato il delfino del presidente e
forse un suo possibile rivale, si è dimesso. Dopo una riunione con la
direzione del partito Akp (Giustizia e sviluppo), Davutoglu ha
annunciato le sue dimissioni, che saranno effettive dopo un congresso
d’emergenza, il 22 maggio prossimo. In realtà il premier ha lasciato
spazio a speranze, indicando che non intende lasciare la politica, ma
che non vuole candidarsi alla guida del governo «se non c’è il
consenso».
Le sue dichiarazioni potrebbero
essere lette come un’ultima possibile apertura verso una “correzione di
rotta”, se il partito la condividerà, sconfessando la centralizzazione
dei poteri avviata da Erdogan, deciso a cambiare la Costituzione per
trasformare il paese in senso presidenzialista. Ma Davutoglu sembra
voler sgombrare il campo da illusioni non radicate nella realtà, e ha
ribadito la sua fedeltà al presidente, sottolineando che non sarà lui a
dividere il partito. A poco serviranno i richiami di Kemal Kilicdaroglu,
leader del principale partito di opposizione, secondo cui il premier
avrebbe dovuto «resistere al golpe».
Le
tensioni fra Davutoglu ed Erdogan, finora rimaste sommerse, sono
diventate esplicite nei giorni scorsi, fino alla rottura. Un tentativo
di ricomposizione, mercoledì sera, è finito senza risultati. La scelta
del premier, nelle sue stesse parole, «non è una decisione personale ma
una necessità». A sentire lui, verso l’uomo forte di Ankara «non ci sono
rimproveri, né collera o rancori». Ma è difficile crederci, mentre
Davutoglu fa un bilancio della sua esperienza e ne difende la
correttezza. Ma è più difficile credere che non resti amarezza, visto
che in passato il premier aveva persino dovuto affrontare voci critiche
che lo definivano «il burattino di Erdogan».
I
due protagonisti della politica turca erano in conflitto sulle scelte
interne, in particolare sulla condotta da tenere con la minoranza curda.
Davutoglu appariva propenso ad aprire nuove trattative, mentre Erdogan
voleva confermare la politica del pugno di ferro, assimilando l’intero
gruppo etnico con i guerriglieri fuori legge del Pkk.
Ma
un importante motivo di disaccordo è il fastidio del presidente a
vedere il premier come titolare delle trattative con l’Europa
sull’emergenza profughi. Adesso non è ben chiaro che cosa possa
succedere: «È presto per vedere quali conseguenze ci saranno», dice
Federica Mogherini, responsabile della politica estera comunitaria.
Qualche funzionario anonimo ha definito l’esclusione del premier, visto
come controparte più moderata del capo dello Stato, «una brutta
notizia», soprattutto se al suo posto verrà incaricato Berat Albayrak,
ministro dell’Energia e genero di Erdogan. Altri hanno ricordato che il
negoziato gestito da Davutoglu era sostenuto anche dal presidente, ed è
improbabile che esso sia rallentato o rimesso in discussione.