venerdì 6 maggio 2016

Repubblica 6.5.16
La battaglia per i sindaci può tracciare il futuro dei partiti
Troppi demoni attorno al voto non solo il Pd gioca in difesa
di Stefano Folli

QUATTRO settimane alle elezioni amministrative, quattro settimane in cui protagonisti e comprimari dovranno giocare in campo aperto, mostrando tutti i loro punti di forza e le loro debolezze. Con una certezza: i risultati del voto avranno sulla stabilità complessiva del sistema politico un impatto non troppo inferiore a quello del fatidico referendum costituzionale di ottobre. Ieri il francese Le Monde ha dedicato ai guai giudiziari del Pd - e quindi al premier-segretario Renzi - un’analisi fin troppo impietosa, conclusa però con un’osservazione pertinente. Le inchieste, gli arresti, ora anche le condanne (Soru) hanno l’effetto di modificare lo scenario elettorale. «Di fronte alla resurrezione del demone della corruzione nella politica italiana, Renzi è costretto a giocare in difesa» nelle maggiori città.
Giocare in difesa. È vero per il Pd, sia pure non ovunque. Ma è la condizione comune anche ad altri. Sarà per mancanza di idee o di forti personalità, eppure sono parecchi i candidati che danno l’idea di attuare un bizzarro “catenaccio”, in attesa di qualche colpo di dadi prima del 5 giugno oppure delle sorprese del ballottaggio. Finora Renzi ha cercato di distinguere se stesso dalle amministrative. Il messaggio è ovvio: il presidente del Consiglio guarda verso un orizzonte molto più ampio di quello esiguo e provinciale delle città. Ieri, ad esempio, l’incontro con Angela Merkel rappresentava il perfetto esempio di come il premier riesca a mettere uno spazio fra sé e le beghe interne, ottenendo altresì dalla Cancelliera il rifiuto di avallare il muro austriaco del Brennero.
I critici diranno che nella sostanza l’incontro ha dato poco e che i problemi, a cominciare da quelli dell’immigrazione, restano irrisolti. La verità è che l’elastico di Renzi nasconde più di un’insidia. Nella parte alta, l’elastico richiede credibilità in Europa, risorse finanziarie, intrecci e alleanze non episodiche e fragili. Per due anni, ad esempio, il premier italiano ha goduto di ottima stampa nel continente: il suo esperimento a Roma è stato seguito con simpatia, persino imitato. Ora un attacco come quello del Monde indica che l’atmosfera sta cambiando. La lunga crisi economica e le incognite del Mediterraneo e Nord Africa riaprono vecchie ferite, accendono nuove rivalità. Occorre una capacità da statista per affrontare sfide di questa natura.
Viceversa “si gioca in difesa” nelle città, la parte bassa dell’elastico. In quelle città dove un tempo si selezionava un pezzo della classe dirigente politica e che oggi sono spesso palestra dei movimenti anti-sistema. Gli unici che danno l’impressione, magari solo l’impressione, di essere in modo costante all’offensiva. In realtà anche loro rischiano. I Cinque Stelle sono in partita solo a Roma, dove la Raggi è in testa in tutti i sondaggi e dove può solo perdere consenso di qui al 5 giugno, magari se inciampa nelle “gaffe”. L’altro blocco antagonista, l’asse Salvini-Meloni, è un’incognita. A Milano il capo leghista sostiene un candidato, Parisi, che non è certo vicino a lui. A Roma la sfida a Berlusconi ha prodotto la doppia candidatura, Meloni e Marchini, e qualche dubbio.
Anche qui circolano poche idee. Aver posto adesso e in forma un po’ rozza la questione della leadership nel centrodestra è stato un gesto audace, ma forse avventato. A cui non corrisponde una campagna trascinatrice, ricca di nuove suggestioni. Il populismo di Salvini è monotono e ripetitivo; vero però che i continui, esecrabili episodi di intolleranza che tolgono la parola al leghista, nonché la distruzione del suo libro, finiscono per portare acqua al suo mulino, alimentando una campagna che, senza la Meloni al ballottaggio, si chiuderebbe con un fallimento. Anche Marchini, il candidato centrista oggi in ascesa, deve muoversi, se non proprio in difesa, certo con particolari accortezze. Deve dimostrare di non essere stato riassorbito dalle logiche partitiche dopo l’appoggio ricevuto da Berlusconi. Per lui il rischio è di essere percepito come un uomo competente, sì, sul quale però, giorno dopo giorno, si riversa un vecchio mondo politico in cerca d’autore. Un rischio che si evita con proposte concrete e realizzabili.