Corriere 6.5.16
Susanna Camusso
«Pensioni, Renzi vuole fare un regalo al sistema banche-assicurazioni»
Camusso: flessibilità in uscita senza penalizzazioni a partire dai 62 anni
di Enrico Marro
ROMA
Il premier Renzi ha annunciato che dal 2017 ci sarà l’Ape, cioè
l’assegno pensionistico per chi si ritira prima dal lavoro. Finalmente
la «flessibilità in uscita»?
«Speriamo che
quest’Ape non si riveli una vespa fastidiosa — sorride il segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso, nel suo ufficio al quarto piano di
Corso Italia —. Battute a parte, le parole del presidente del Consiglio
sono anche il risultato dell’iniziativa di Cgil, Cisl e Uil. Renzi ha
anche detto che avvierà un confronto con le parti sociali. Sarebbe una
straordinaria novità. Chiediamo che ci convochi, augurandoci che la loro
proposta non sia un cerotto».
Perché un cerotto?
«Tanto
per dirne una, ci piacerebbe capire se la proposta non sia temporanea,
riservata cioè ai nati nel 1951-52-53. Non è quello che serve».
Cosa serve invece?
«La
flessibilità in uscita senza penalizzazioni dai 62 anni e
un’articolazione delle età di pensionamento che tenga conto del lavoro
svolto. In Germania, tanto per stare al modello tedesco, non esiste che
gli operai vadano in pensione a 67 anni. Escono tutti prima».
Perché non dovrebbero esserci le penalizzazioni?
«Perché
sono già contenute nel sistema contributivo pro rata. Invece, nell’Ape
c’è una doppia penalizzazione: il taglio permanente della pensione e
l’assegno anticipato sotto forma di prestito. Un regalo a banche e
assicurazioni».
Stravolgere la Fornero metterebbe a rischio la tenuta dei conti pubblici.
«Tenere
la Fornero mette a rischio la tenuta sociale del lavoro perché,
semplicemente, la gente non ce la fa più. Basterebbe andare nelle
imprese e vedere che livelli hanno raggiunto i lavoratori con ridotte
capacità lavorative».
Ma come andrebbe finanziata la flessibilità in uscita?
«Cominciamo
col dire che per fare i giusti paragoni in Europa dalla spesa
previdenziale, va scorporata l’assistenza. Inoltre, siamo uno dei pochi
Paesi dove sulle pensioni si pagano le tasse. Infine, una parte delle
risorse si possano trovare nel sistema, per esempio con un contributo
sulle pensioni più alte».
Frutterebbe molto poco.
«Sarebbe
una misura eticamente giusta. Penalizzare magari del 12% pensioni da
mille euro va bene e invece chiedere un contributo redistributivo su
quelle da 3mila no?».
La Cgil contesta la politica economica del governo, eppure c’è una modesta ripresa del Pil e dell’occupazione.
«La
politica economica di questo governo è continuista. L’Italia resta
caratterizzata da scarsa crescita e instabilità economica. L’esecutivo
non ha affrontato i problemi strutturali mentre servirebbe una politica
per dare lavoro ai giovani».
Lavoro pubblico?
«Ci
sono periferie e centri storici da riqualificare, una politica
ambientale da promuovere. E se parte il pubblico si possono coinvolgere i
privati. Ad esempio, ci sono infrastrutture da realizzare, sostenendo
l’innovazione e le imprese che investono».
Vuole tornare alle partecipazioni statali.
«Non
necessariamente, ma questo Paese deve ringraziare le partecipazioni
statali perché l’ossatura fondamentare della nostra industria è ancora
quella dell’Iri. I Paesi che vanno bene in Europa, a cominciare dalla
Germania, sono caratterizzati da un dirigismo in economia: programmano e
investono. Da noi, invece, Italcementi viene venduta e nessuno si pone
il problema di un’azienda innovativa, competitiva, in un settore
fondamentale per la crescita, che finisce all’estero».
Che
effetto le hanno fatto Brunetta e Polverini di Forza Italia che hanno
elogiato l’iniziativa della Cgil della Carta dei diritti del lavoro?
«Anche
i Cinque stelle e Sinistra italiana hanno mostrato interesse. Poi non è
che Forza Italia ha detto che condivide tutto della nostra proposta di
legge di iniziativa popolare, ma che si impegnerà affinché non finisca
nel cassetto. Mi pare un atteggiamento corretto. La prossima settimana
incontreremo il Pd».
Insieme alla Carta
avete promosso tre referendum abrogativi, tra i quali quello per
ripristinare l’articolo 18 e anzi allargarlo alle aziende con più di 5
dipendenti. Quando si potrebbero svolgere i referendum e la Cgil è
consapevole del rischio di una sconfitta peggiore di quella sulla scala
mobile?
«I referendum si svolgeranno, credo
nel 2017, se la Corte li ammetterà e se il Parlamento non discuterà la
nostra proposta. Noi abbiamo cercato un’interlocuzione con questo
governo perché il mondo che rappresentiamo ritiene queste norme
ingiuste. Ma l’esecutivo ha scelto i soliloqui. Noi non possiamo stare
fermi. Portiamo avanti le nostre battaglie».