Repubblica 4.5.16
Le incursioni della fede in politica
risponde Corrado Augias
GENTILE
Augias, ineccepibile, secondo me, la lettera di Raniero La Valle qui
pubblicata domenica. La vita deve essere impegno e la sua legittimazione
è solo la buonafede. Le intromissioni delle gerarchie o dei pontefici
nel dibattito politico sono l’espressione sicuramente “meno nobile” nei
rapporti tra Vaticano e Stato italiano. Ma se un gruppo di “cattolici
conciliari e progressisti” testimonia, senza l’intento di prevaricare,
la propria visione unitaria di fede e politica, a me sembra una
manifestazione di coraggio e impegno; non è giusto condannarla perché
altri, con o senza l’abito talare, hanno tentato di imporre la loro
visione della “fede” per motivi “meno nobili”. Alle parole di Raniero La
Valle aggiungo il ricordo di monsignor Romero, ucciso per la sua idea
che forse quel “che è di Cesare” riguarda anche Dio (se ci si crede) o,
allargando, la teologia della liberazione alla quale Papa Wojtyla era
contrario. A parziale rettifica di quanto da lei scritto, vorrei anche
dire che “nel clima di rinnovata spiritualità” papa Bergoglio si muove,
giustamente, con pochissima “prudenza o discrezione”, va dritto alle
contraddizioni e ingiustizie senza il linguaggio curiale e ambiguo
dell’ambiente vaticano.
Giorgio Castriota — castriota.giorgio@gmail.com
FORSE
è utile aggiungere un’ulteriore precisazione su un tema indubbiamente
di rilievo. Intervenire in politica schierandosi in nome della propria
fede mi sembra poco opportuno in un paese come il nostro. Faccio un
esempio “a contrario”. Negli Stati Uniti il giuramento per le cariche
pubbliche si fa con la destra alzata e la sinistra sulla Bibbia; sul
dollaro compare il motto “In God we trust”. Si fa da sempre e nessuno
protesta perché la divisione tra potere pubblico e fedi religiose è, da
sempre, stata netta dopo la rivoluzione del 1776. Da noi invece
l’invasione della vita pubblica fatta in nome della fede cattolica, è
stata fino a pochi anni fa opprimente. Basta pensare con quale
accanimento si volle che i Patti Lateranensi fossero elevati a livello
costituzionale con il famigerato articolo 7, appoggiato anche dai
comunisti. In tempi più recenti si può ricordare il male arrecato alla
vera spiritualità dalle pesanti e continue intromissioni di certi
porporati forti della loro posizione di capi dei vescovi italiani.
Questo è il sottofondo storico che, in tempi finalmente mutati, impone
prudenza e discrezione. Quanto a papa Francesco, è evidente che deve
agire con ogni dovuta, dichiarata, ostentata, energia. Al contrario di
alcuni suoi predecessori, egli agisce in quanto pastore, capo di una
confessione religiosa, in quella veste ha ogni diritto di richiamare i
suoi fedeli. Deve farlo con un’azione di forza anche mediatica date le
gravi condizioni di degrado in cui ha trovato la sua Chiesa. La quale si
è così ridotta anche a causa della prolungata commistione tra Dio e
Mammona. Basta pensare allo scandaloso comportamento di certi politici
giustificato in cambio di esenzioni fiscali e altri vantaggi non
propriamente celesti. Insomma, la cautela è preferibile; le ferite sono
ancora fresche.