martedì 3 maggio 2016

Repubblica 3.5.16
La scommessa del Premier
di Stefano Folli

MANCANO circa cinque mesi e mezzo al referendum costituzionale previsto per ottobre, in una domenica da stabilire. Quasi un’era geologica per i ritmi nevrotici della nostra politica. In mezzo c’è di tutto, fra l’altro le elezioni amministrative, la verifica di quanto sia veritiera la ripresa economica e persino le vacanze estive. Eppure nessuno si stupisce se Renzi ha già cominciato la campagna elettorale per l’unico risultato che gli sta davvero a cuore e su cui ha investito se stesso.
L’avvio della battaglia è nello stile del personaggio: irruente e ricca di iperboli ben al di là del merito di una riforma che archivia, certo, il “bicameralismo” paritario, ma forse non è lo spartiacque definitivo fra il bene e il male. O l’inizio del mondo nuovo. Anche qui, nessuna meraviglia. Il premier si sta giocando una partita politica che è molto nelle sue corde e, a quanto pare, le sfumature lo infastidiscono. Come non lo preoccupa affatto la divisione degli italiani. Anzi, egli stesso scava un solco profondo fra il “sì” e il “no”. Un solco che solo in apparenza riguarda le misure costituzionali — dove c’è dell’altro oltre la riforma del Senato — , ma in realtà mira a generare una maggioranza di veri riformatori, protesi verso il futuro, soldati del premier (l’esercito del “sì”) e una minoranza di conservatori, “gufi”, amici dei sindacati e nemici del progresso (la forza oscura del “no”).
Si tratta, come è ovvio di una semplificazione utile a coinvolgere la gente e spingerla al voto, sia pure fra cinque mesi e mezzo. Renzi è piuttosto abile nella comunicazione, si muove nel suo recinto prediletto — la campagna elettorale — ed è possibile che il suo messaggio attecchisca. Del resto, sappiamo che nessuno sforzo sarà risparmiato per convincere gli italiani. Andandoli a cercare, se necessario, “casa per casa”. Sono lontani i giorni dell’astensione sulle trivelle. Ora è tempo di una mobilitazione estesa su tutto il territorio nazionale — anche nel Mezzogiorno prima trascurato — e quasi militare.
Ovvio che questa logica plebiscitaria alimenti già da settimane aspri contrasti. Ma, come detto, Renzi adora il conflitto e lo ritiene — non del tutto a torto — essenziale alla lotta politica. Il punto è che egli non si limita a spaccare in due il Paese di oggi, con le sue contraddizioni e sofferenze. Lo frattura anche sul piano storico, ponendo il suo governo come l’unico che ha realizzato in appena due anni “un cambiamento radicale” dopo “63 governi dormienti”. Questa è forse l’affermazione meno meditata e sarà opportuno che il premier la corregga quanto prima; 63 governi... ossia tutti quelli che si sono susseguiti nell’Italia repubblicana dal dopoguerra al 2014. Oltre sessant’anni di vicende storiche in cui l’Italia, prima della crisi, ha conosciuto tassi di sviluppo che oggi sono un remoto ricordo.
La sciabolata non riguarda quindi Enrico Letta o Mario Monti o magari i governi della Prima Repubblica declinante. Vengono cancellati tutti in un colpo solo, a cominciare da Alcide De Gasperi fino a Romano Prodi, passando per un’icona della ministra Boschi come Amintore Fanfani; e gli altri a seguire. Il messaggio, anche in questo caso, è trasparente: votando “sì” voterete per me e votando per me entrerete nella nuova era. Non c’è più il vecchio Pd, residuo di un’epoca tramontata; c’è a tutti gli effetti il “partito di Renzi” che emerge dalle urne e da vincitore si preparerà alle future elezioni politiche nel sistema monocamerale. O me o il caos.
Da un lato, non si può non riconoscere la personalità e il coraggio al limite della temerarietà del premier, capace di perseguire un progetto con inesausta energia. Dall’altro, si obietta che in realtà una certa inquietudine serpeggia sotto la baldanza. I sondaggi non sarebbero così orientati a favore del “sì” e quindi occorre una sferzata vigorosa e in anticipo sui tempi. In ogni caso, la spinta verso il plebiscito presenta evidenti opportunità, in quanto personalizza la campagna intorno al suo protagonista. Ma offre anche gravi incognite. Se il Paese non segue, il cortocircuito può diventare drammatico.