giovedì 26 maggio 2016

Repubblica 26.5.16
Sospetti di riciclaggio non parte la rogatoria scoppia la lite fra Berna e Vaticano
La Svizzera chiede alla Santa Sede di accelerare l’iter su 13 milioni depositati. Senza risposta
di Ettore Livini

MILANO. La Svizzera chiama, il Vaticano non risponde. La dura legge delle rogatorie senza risposta si ritorce, per una volta, contro la giustizia della Confederazione. E rischia di far sparire nel nulla per la melina della Santa Sede 13 milioni depositati su tre conti bancari elvetici sequestrati da Berna «per riciclaggio», con il fondato sospetto di essere «illeciti profitti» realizzati grazie alla compravendita degli immobili dello Ior.
Il beneficiario economico di questa somma è «una persona già indagata per peculato in un procedimento penale promosso dal Promotore di giustizia della Santa Sede», precisa una sentenza del Tribunale Federale depositata il 12 aprile scorso. Si tratta con ogni probabilità dell’indagine avviata a fine 2014 che ha visto finire nel registro degli indagati l’ex presidente dello Ior, Angelo Caloia, l’ex direttore generale Lelio Scaletti e l’avvocato Gabriele Liuzzo, accusati di aver guadagnato «tra i 50 e i 60 milioni» auto- vendendosi sottoprezzo 29 palazzi di proprietà dell’Istituto per le Opere di religione per poi piazzarli sul mercato al loro valore reale, lucrando copiosi guadagni. In quell’occasione il Promotore di giustizia di San Pietro aveva ottenuto il sequestro di altri 16 milioni parcheggiati su un conto in Italia. Questa volta invece la Santa Sede sembra meno interessata a mettere le mani sul tesoretto scoperto nei caveau elvetici: Berna ha spedito un anno fa Oltretevere la sua prima richiesta di rogatoria. Ma finora — malgrado ripetute insistenze — non ha ricevuto alcuna risposta. E se il Vaticano non ne domanderà ufficialmente il sequestro in tempi stretti, i conti saranno scongelati.
La (non) corrispondenza con le autorità delle mura leonine è fotografata nella sentenza del tribunale svizzero. L’indagine (notificata subito a Roma) scatta il 29 gennaio 2015 quando l’Ufficio comunicazioni riciclaggio di Berna segnala al Ministero Pubblico della Confederazione i tre conti bancari su cui «sarebbero finiti parte dei profitti realizzati con gli immobili dello Ior». Le segnalazioni contengono elementi ritenuti sufficienti per il loro blocco. Il 26 giugno la Svizzera invia al Vaticano domanda di assistenza giudiziaria. Obiettivo: acquisire gli atti dell’indagine in Italia e interrogare “B”, come viene indicato negli atti il beneficiario dei conti. E farsi spiegare il tourbillon di contanti arrivato oltreconfine, «connessi con i fatti in oggetto delle indagini estere». Come gli 1,85 milioni finiti in un mese su uno dei tre rapporti bancari.
Passano i mesi, tutto tace. A dicembre l’Ufficio Federale di Giustizia della Confederazione torna all’attacco bussando di nuovo a Roma, mentre i titolari dei conti ne chiedono il dissequestro citando il «manifesto disinteresse» del Vaticano per i 13 milioni. Questa volta una risposta arriva: le autorità della Santa Sede, maledetta Posta, spiegano di aver ricevuto solo il 28 dicembre 2015 la notifica dell’operazione spedita dieci mesi prima. E promettono di attivarsi preannunciando a loro volta «richiesta di assistenza internazionale alle autorità elvetiche».
Da allora però non si muove più una foglia. Il Tribunale nega lo sblocco dei conti, confermando la bontà delle prove a disposizione dell’antiriciclaggio, ma lancia un ultimatum: il Ministero Pubblico della Confederazione deve attivarsi «per chiedere alle autorità competenti a Roma l’esecuzione della rogatoria svizzera» impegnandosi a far sapere che «se non intendono chiedere il sequestro rogatoriale dei fondi entro due mesi, i valori saranno dissequestrati». E i 13 milioni potranno involarsi verso qualche altro paradiso offshore.