il manifesto 25.5.16
Bernie spinge a sinistra con il suo «comitato centrale»
Stati uniti. Composto da ambientalisti e filopalestinesi, stileranno il programma dei Democratici
di Luca Celada
LOS
ANGELES Fra due settimane le primarie politiche americane giungeranno
al termine con la votazione nei Dakota, Montana, New Jersey, New Mexico e
California. Per Donald Trump, ormai senza avversari si tratta di
«finire i giri» e ottenere i 1237 delegati richiesti per l’investitura.
Per i democratici la partita è ufficialmente ancora aperta.
Sulla
carta i delegati in palio quest’ultimo «supermartedì» (oltre 800)
sarebbero tecnicamente sufficienti a colmare il divario di quasi 300
delegati fra Hillary Clinton e Bernie Sanders. Malgrado le speranze dei
«sandersiani» in realtà i giochi sono fatti. In virtù degli oltre 500
«superdelegati» assegnati dal partito, Hillary sarà la candidata
democratica che si contenderà la casa bianca con Trump.
Dietro le
quinte però rimane da giocarsi una cruciale partita politica destinata a
rivelare l’effettivo peso della sinistra «resuscitata» dalla Bernie
revolution.
Il 25 luglio a Philadelphia si svolgerà la convention
che dovrà sancire l’investitura della candidata e stabilire il programma
con cui democratici si presenteranno alle elezioni.
I congressi
elettorali sono anche la sede in cui avviene la mediazione fra le
correnti – e mai come quest’anno sarà essenziale per capire se e come le
istanze di Sanders verranno incluse nella piattaforma del partito.
Sanders ha montato una sfida efficace oltre ogni pronostico, senza fare
sconti a Clinton in particolare sui suoi legami con gli interessi
economici di Wall Street e l’interventismo americano, una campagna che
ha comunque precluso la narrazione di investitura plebiscitaria che i
clintoniani avevano inizialmente sperato di costruire.
Questa
settimana i 10 milioni di voti raccolti hanno dato i loro primi
risultati concreti con la «concessione» a Sanders di scegliere 5 dei 15
integranti del platform committee incaricato di stilare il programma del
partito (sei spetteranno a Clinton e quattro saranno «neutrali»).
E i nomi designati da Sanders riflettono un programma decisamente di sinistra.
Cornel
West è una delle voci più eloquenti del movimento afro americano,
vicino a Black Lives Matter e fautore una di una lucida critica da
sinistra alle politiche moderate di Obama.
Keith Ellison anche lui
afro americano è stato il primo deputato musulmano eletto al congresso.
L’accademico Jim Zogby è uno dei principali attivisti pro-palestinesi
che ha paragonato l’occupazione israeliana all’olocausto (ricevendone
numerose minacce di morte).
Bill McKibben è un ambientalista di
punta che ha documentato il mutamento climatico in numerosi libri. La
quinta rappresentante di Sanders è la militante indiana americana
Deborah Parker.
È una lista come ha affermato Sanders, atta a
favorire «una piattaforma che riflette le vedute di milioni di elettori
che vogliono un partito che si esprima per i lavoratori e non solo per
Wall street, le case farmaceutiche, l’industria petrolifera e altri
poteri forti».
La facoltà di sceglierla è vista come una
concessione importante alla sinistra da parte dell’establishment, che
convalida la strategia di continuare la campagna fino in fondo
contrariamente ai ripetuti inviti a ritirarsi.
È notevole
soprattutto l’inclusione delle voci pro-palestinesi, uno storico tabù
per entrambi i partiti, particolarmente emblematica viste le posizioni
fortemente filo-israeliane di Hillary.
Un buon (iniziale) auspicio
per la nuova sinistra emersa con Sanders e quella «ala democratica del
partito democratico» come la definì 12 anni fa Howard Dean, l’ultimo
«insorto progressista» precursore di Bernie.