Repubblica 25.5.16
L’inconscio e il suo destino dopo Freud
Una riflessione sulle tesi del maestro alla vigilia del Congresso della Società psicoanalitica italiana
Si
 apre domani a Roma, presso l’Angelicum Congress Centre di Roma, il 
XVIII congresso della Spi, la Società psicoanalitica italiana, in 
programma fino a domenica 29
Tema di quest’anno, “ Le logiche del piacere - L’ambiguità del dolore”
di Massimo Ammaniti
La
 scelta di Freud di rinviare la pubblicazione de L’interpretazione dei 
sogni all’inizio del nuovo secolo, nel 1900, si è rivelata una di quelle
 profezie che si autoavverano, perché il suo libro ha rappresentato uno 
spartiacque che ha cambiato gli scenari sociali e culturali dei decenni 
successivi. Ma già prima di Freud nella letteratura e nella filosofia 
dell’Ottocento veniva prestata una forte attenzione al mondo inconscio. 
In uno dei suoi ultimi scritti, Un capitolo sui sogni, Robert Louis 
Stevenson aveva raccontato come le piccole persone che comparivano nei 
suoi sogni, i Brownies, avessero ispirato la stesura del suo famoso 
romanzo
Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hyde.
Anche
 le intuizioni di Nietzsche sulla natura dei sogni, in cui 
riemergerebbero frammenti della preistoria dell’umanità, avrebbero 
trovato conferme stupefacenti nel pensiero psicoanalitico.
Ma 
Freud ebbe il merito speciale di svelare attraverso la simbologia dei 
sogni i meccanismi di funzionamento dell’inconscio dinamico, 
profondamente diversi dai codici dei processi consci. Questa scoperta 
spinse Freud a ridisegnare il modello della mente umana profondamente 
divisa fra conscio ed inconscio. Questa concezione, come ha raccontato 
il premio Nobel Kandel in un libro di grande interesse, L’età 
dell’inconscio (Raffaello Cortina), era probabilmente scaturita dagli 
insegnamenti di un grande medico viennese, Rokitansky , che aveva 
prefigurato le profonde connessioni fra corpo e mente anche alla luce 
della teoria darwiniana, di cui Freud era stato un attento allievo. 
Mentre in campo artistico le tradizionali forme espressive venivano 
messe in discussione dando spazio alla soggettività e all’esperienza 
inconscia, sia nella pittura con Kokoschka, Schiele e Klimt sia nella 
letteratura con Schnitzler, un alter ego del grande maestro della 
psicoanalisi.
Nei decenni successivi questa concezione di Freud 
divenne meno dicotomica. Ma comunque il primato della ragione, caposaldo
 della tradizione occidentale, venne messo in discussione, e la marea 
dell’inconscio sovvertì la mente umana. Nonostante alcune riletture 
dell’inconscio da parte di Lacan o di Matte Blanco la costruzione 
freudiana è rimasta sostanzialmente inalterata fino a poco tempo fa, 
quando si sono affacciate nuove discipline, come le neuroscienze 
cognitive o la ricerca in campo infantile, che hanno reso inevitabile 
una riformulazione teorica dell’inconscio. Un primo tentativo è stato 
fatto dalla psicoanalista americana Efrat Ginot nel suo libro The 
Neuropsychology of Unconscious (Norton Publisher), secondo cui 
l’inconscio non è solo quello dinamico rimosso dalla coscienza, ma 
comprenderebbe anche altri processi inconsci e soprattutto la conoscenza
 implicita. Questa recente scoperta della conoscenza implicita non 
verbale è scaturita studiando i bambini nei primi anni di vita, che 
interagiscono e comunicano con il contatto visivo, le intonazioni 
vocali, le posizioni e i movimenti del corpo, il ritmo dei gesti, le 
risonanze affettive. Si tratta di una conoscenza che vale nelle 
relazioni, con cui i bambini si orientano e comprendono le intenzioni 
degli altri, comunicano i propri desideri e si adattano agli altri. 
Questo vale soprattutto nei primi anni di vita ma anche dopo perché, 
come ha scritto il grande studioso Daniel Stern, «quasi tutto quello che
 sappiamo nel rapporto cogli altri si colloca nell’ambito della 
conoscenza implicita, che rappresenta un canale parallelo all’inconscio 
rimosso».
Il cambiamento è radicale, l’inconscio non rappresenta 
soltanto un crogiolo di passioni incontrollabili e di desideri 
distruttivi, ma può essere concepito come una struttura mentale coesa e 
attiva che ci aiuta a valutare continuamente le esperienze che viviamo, e
 a cui rispondiamo con i nostri schemi interpretativi. Questo inconscio 
relazionale sarebbe legato fondamentalmente all’emisfero cerebrale 
destro, che è fortemente attivo nei primi anni di vita. E forse questo 
darebbe ragione a Freud, che fin dal suo libro Progetto di una 
psicologia concepiva la mente strettamente radicata nel cervello.
 
