La Stampa 25.5.16
E Olivetti chiese a Musatti: “Può analizzarmi nelle vacanze?”
Si apre domani a Roma il 18° congresso della Società Psicoanalitica italiana
Alla Fondazione creata dall’ingegnere il premio intitolato allo psicanalista
di Sara Ricotta Voza
«Da
cosa nasce cosa» aveva scritto Adriano Olivetti a Cesare Musatti nel
biglietto con cui gli regalava una macchina da scrivere Studio 42 perché
mettesse mano a una raccolta di testi psicologici diffusi ovunque ma in
Italia no, per via del fascismo. E «da cosa nasce cosa» fu la prima
frase che il futuro padre della psicoanalisi italiana scrisse appena
arrivato a casa pieno di speranza per la nuova collaborazione. «Allora
ero un povero insegnante di liceo a Milano. E la facevo stretta»
racconta Musatti nell’intervista che rilasciò a Laura Olivetti, figlia
del grande imprenditore e psicoanalista lei stessa, scomparsa da poco.
Quel colloquio doveva servirle per la tesi di laurea ed è custodito
inedito nell’archivio della Fondazione Olivetti. Un documento che
racconta in prima persona un sodalizio umano straordinario e un aspetto
poco noto di quello che viene riduttivamente definito un «imprenditore
visionario».
Olivetti chiamò Musatti a costruire un Centro di
Psicologia in fabbrica e quell’esperienza è tornata oggi alla luce
perché domani a Roma si apre il XVIII Congresso Spi Società
Psicoanalitica Italiana, durante il quale il Premio Musatti 2016 andrà
alla Fondazione Adriano Olivetti. «Ciò che l’attività della Fondazione e
gli psicoanalisti condividono è la comprensione innovativa di quello
che viene definito “capitale umano” e che consiste nel prendersi cura
del mondo interno delle persone, dei loro legami e relazioni» spiega
Tiziana Bastianini, segretario scientifico Spi, che a Adriano Olivetti
riconosce «una concezione del lavoro come fonte emancipativa e non di
disumanizzazione». Un premio che ricorda anche Laura Olivetti, a lungo
Presidente della Fondazione, e che ritirerà suo figlio Beniamino de’
Liguori Carino, attuale segretario generale: «Ci sono due letture
dell’interesse di mio nonno per la psicologia - racconta - una è da
ingegnere, come strumento di lettura concreta della realtà, la seconda è
più personale, legata all’attenzione per quello che non è evidente».
Nella
testimonianza di Musatti, però, ci sono anche gustosi ricordi privati.
Si scopre che Adriano gli chiese di mettersi in analisi con una proposta
«psicanaliticamente molto poco ortodossa»: «Durante le vacanze lei mi
segue nei viaggi e mi fa l’analisi». Musatti cominciò ad andare a casa
dell’imprenditore e la descrive «la casa di un modesto impiegatino».
L’analisi durò poco, tre sedute, e si arrestò quando Adriano raccontò a
Musatti un sogno in cui litigava con un prete. «Mi misi a ridere: ma il
prete sono io... Il lettino, d’altro canto, rappresenta un po’ il
confessionale...». Olivetti decise di sospendere: «non voglio litigare
con lei» disse, e fu irremovibile.
Divertente è anche il racconto
dell’aiuto al suocero di Olivetti, il professor Levi, nella traduzione
di Tipi psicologici di Jung. «Per onestà, traduceva da cani: c’era da
scusarlo però, perché oltre alle difficoltà del libro il tedesco di Jung
è davvero brutto, un tedesco da svizzerotto».
Poi l’incarico a
costruire un centro di psicologia del lavoro: «Coloro che vivono
all’esterno non possono rendersi conto di quanto effettivamente succede
in officina. Adriano invece capiva. Era capace di ascoltare. Di
assorbire. Di comprendere». Finì la guerra e Musatti ottenne la cattedra
di Psicologia a Milano. Adriano lo nominò capo del personale.
L’incarico durò 24 ore perché al resto della famiglia Olivetti l’idea
non piacque. «Libero così da impegni ufficiali nell’azienda, nel mio
ufficio all’Olivetti, potei dedicarmi interamente al mio trattato di
psicanalisi, che finalmente potei pubblicare».