Repubblica 25.6.16
Perché dobbiamo accogliere i profughi
di Emma Bonino
IPAESI
europei stanno accettando e integrando i migranti nelle loro società.
Dunque la mia domanda è: perché non più siriani? E, parimenti, perché
non più iracheni, afgani o somali? È per una questione di razzismo? È
perché si sospetta che siano un rischio per il terrorismo? Oppure non
sono considerati del tutto capaci o qualificati? Queste sono domande a
cui i leader europei devono iniziare a rispondere per poter superare
l’emergenza profughi.
L’Europa è ben consapevole delle conseguenze
a livello strutturale, con un drammatico declino demografico in
Germania, Italia e Spagna, giusto per nominarne alcuni. Nel 2014, i
Paesi europei hanno accolto e integrato con successo circa 2,3 milioni
di profughi, riunendoli alle loro famiglie e offrendo permessi di lavoro
e un’istruzione. In effetti, il Regno Unito è stato il Paese migliore
nell’integrazione dei migranti, accogliendone 568.000 solo nel 2014,
provenienti anche dagli Stati Uniti, dall’India, dalla Cina e dal
Brasile. Ma quanti dalla Siria? Quasi nessuno. Persino il mio Paese,
l’Italia, ha integrato più di 200.000 persone nel 2014. Eppure molti
europei continuano a negare l’accoglienza a rifugiati e migranti causati
dall’“emergenza” lungo i confini meridionali del continente.
Abbiamo bisogno di più immigrati, di tutti i tipi. Non di meno.
Una
volta che i rifugiati raggiungono l’Europa, deve esserci una politica
d’integrazione efficace che eviti errori passati. Bisogna investire
negli alloggi, nell’educazione, nella formazione linguistica e
professionale per evitare una futura alienazione o privazione. L’Europa
non può permettersi di continuare il suo approccio scoordinato e
miseramente inadeguato alla realtà dell’immigrazione. Il nostro
fallimento nel gestire efficacemente l’ingresso e l’insediamento di
rifugiati e migranti ha aggravato il problema, creando una grave crisi
politica.
Nell’assenza di un piano generale per la gestione e la
distribuzione dei richiedenti asilo, le nazioni europee sono andate nel
panico. Molte di loro hanno installato rigidi controlli di frontiera,
alla ricerca di capri espiatori.
La Grecia, che ha attraversato
una lunga fase di tensione economica prima dell’attuale crisi, è stata
presa di mira per aver fallito nell’identificazione e nell’alloggiamento
dei rifugiati. È assurdo pretendere che il Paese si faccia carico di
questo fardello da solo. L’Ue ha garantito 509 milioni di euro per il
programma nazionale della Grecia (2014-2020), oltre a degli aiuti
addizionali per un totale di 264 milioni, per aiutare il Paese a gestire
l’afflusso di migranti. Tuttavia, alcuni stati membri non hanno pagato
la loro parte. Questa mancanza di solidarietà sta aggravando la crisi e
fa sì che la Grecia non abbia le risorse necessarie per identificare
ogni migrante e per determinarne il diritto d’asilo. Questo processo
d’identificazione richiede più operatori sociali, interpreti e giudici,
che l’Europa ha promesso ma a cui non ha ancora provveduto.
Se è
vero che c’è stata una mancanza di leadership in questa situazione, è
altrettanto vero che alcuni interventi positivi sono stati fatti. Ad
esempio, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha coraggiosamente aperto
le porte ai rifugiati (o, per dirla con le sue stesse parole, si è
semplicemente rifiutata di chiudere le porte). È stata accusata e
criticata per “aver scelto i rifugiati”, favorendo in particolare quelli
siriani per la loro tendenza a venire formati e istruiti meglio.
Perlomeno ha mantenuto aperto il confine tedesco per identificare i
nuovi arrivi, e vorrei incoraggiare altri stati dell’Unione Europea a
seguire lo stesso esempio.
In Italia possiamo essere orgogliosi
delle vite salvate grazie all’operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo.
Il programma ha salvato più di 140.000 persone in meno di un anno, prima
che fosse ufficialmente chiuso alla fine del 2014. Stiamo continuando
con le operazioni di ricerca e salvataggio su una scala molto più
ridotta, grazie all’impegno della Guardia costiera italiana, delle
associazioni di pescatori e delle Ong.
Una missione appropriata
nel Mediterraneo dovrebbe comprendere un programma attivo di ricerca e
salvataggio, seguendo il fortunato esempio di Mare Nostrum, al fine di
affrontare i prossimi mesi e anni di questa crisi. Il pensiero di
perdere vite in mare è assolutamente inaccettabile.
Le istituzioni
europee hanno bisogno di migliorare le loro capacità di previsione per
identificare i segnali d’allarme d’instabilità politica e di potenziali
conflitti, e prendere iniziative adeguate per aiutare gli stati
vulnerabili prima che un altro esodo di massa inizi. Un Paese a rischio è
l’Algeria, caratterizzato da un conflitto sociale esteso, un sistema
politico chiuso e una corruzione dilagante. Non c’è alcun successore
vivente al presidente Abdelaziz Bouteflika. Considerando tutto il
disordine in Libia e negli altri Paesi vicini, è lecito descrivere
l’Algeria come una bomba pronta a esplodere. L’Europa non sta facendo
abbastanza per prevedere e impedire un potenziale scoppio e le
inevitabili conseguenze sulle migrazioni che ci sarebbero per il nostro
continente.
Ci sono innumerevoli complicazioni riguardanti la
crisi odierna, incluso le modalità di separazione dei rifugiati dai
migranti economici. È una distinzione tanto importante quanto non sempre
facile da fare. Prima di tutto, la maggior parte di queste persone
arriva qui senza documenti. Uno potrebbe dire di provenire dall’Eritrea,
per esempio, ma come si potrebbe stabilire se questo sia vero oppure
no? In secondo luogo, come dovrebbe essere classificata questa persona,
come un rifugiato o come un migrante economico? È indubbiamente molto
difficile.
Possiamo costruire un sistema più razionale per
affrontare le varie sfide, ma solo se prima plachiamo l’isterismo che
sta colpendo l’Europa. Milioni di persone stanno sfuggendo alla guerra,
alla repressione, alla tortura e alle minacce di morte. Prima di tutto,
la politica dei profughi deve salvaguardare le vite umane.
È un
problema globale e non limitato al Mediterraneo. Aiuta a riflettere
sulle situazioni negli altri Paesi: la Tunisia ha accolto un milione di
libici in una popolazione di circa undici milioni di abitanti; il Libano
ha accolto più di un milione di siriani in una popolazione di circa
quattro milioni di abitanti. Come può l’Europa non dimostrare lo stesso
spirito generoso nel dare il benvenuto a coloro che fuggono da questi
orrori?
Emma Bonino, ex ministro degli Affari Esteri e commissario
europeo per gli Aiuti umanitari è membro del consiglio di
amministrazione dell’International Crisis Group: ha contribuito con
questo editoriale alla serie di pubblicazioni in occasione dei 20 anni
del lavoro dell’organizzazione sulla prevenzione dei conflitti