mercoledì 25 maggio 2016

Repubblica 25.5.16
Scelta temeraria lanciare ora la campagna sul referendum
Renzi abbandona i toni polemici per ricucire a sinistra
Si nota un primo sforzo di ricreare un passato nel quale collocare la riforma Il nodo dei pesi e contrappesi non pare risolto con la formula dell’Italicum
di Stefano Folli

DOPO aver difeso a caldo la sua collaboratrice, la ministra Maria Elena Boschi, rimasta impigliata nell’imprudente polemica sui partigiani, il premier Renzi ieri ne ha corretto le affermazioni. Per meglio dire, ha chiuso la polemica con un tono rispettoso verso i superstiti combattenti della Resistenza, sia quelli che voteranno Sì al referendum sia quelli che voteranno No. E non ha insistito sul tema anagrafico, ignorando la distinzione fra i “veri” partigiani e gli iscritti onorifici all’Anpi nati nel dopoguerra.
Sembra che Renzi sia consapevole che l’oltranzismo polemico produca più danni che vantaggi. Nell’intervista a “Repubblica tv” ha misurato le parole e si è prodotto in un maggiore sforzo pedagogico, consapevole che d’ora in poi la riforma ha bisogno soprattutto di essere spiegata agli italiani. A oggi si è privilegiato l’attacco verbale come unico registro, quando invece il problema è come riempire i cinque mesi che mancano alla domenica del voto, si suppone a metà ottobre. È stata una scelta temeraria quella di cominciare la campagna con tanto anticipo e sarebbe un errore fatale ridurla al cannoneggiamento quotidiano degli avversari, comprese alcune figure simbolo della Repubblica come sono i vecchi partigiani.
Non sono pochi i fautori del No convinti, magari per amor di paradosso, che Renzi e i renziani siano i loro imprevedibili alleati: troppo immersi nella campagna; troppo irruenti nel martellare i loro argomenti nella testa degli italiani; troppo nervosi di fronte alla prospettiva di una partita meno facile del previsto. Forse è questo che il presidente del Consiglio ha finalmente avvertito, magari consigliato da qualcuno abbastanza autorevole per farsi ascoltare da lui. Non a caso Giorgio Napolitano sta aiutando il fronte del Sì: senza aspettare gli ultimi trenta giorni, ma accettando la strana logica dei cinque mesi prima. Napolitano parla entrando nel merito della riforma e la colloca nella cornice del dibattito sul modello “monocamerale” che data dalla Costituente. Fra le righe, si chiede a Renzi di fare lo stesso, deponendo la clava e ottenendo che i suoi stretti collaboratori si adeguino.
Aquesto punto può darsi che qualcosa cambierà, se non altro per la buona ragione che un lungo “stress” sarebbe insopportabile per tutti. Renzi non rinuncia a prendersela con i cosiddetti “poltronisti”, i difensori a suo dire del privilegio e quindi della conservazione, ma si tratta delle solite schermaglie elettorali. Il punto è un altro. Da un paio di giorni, Palazzo Chigi cerca di legare insieme qualche filo e di connettersi al passato attingendo nel patrimonio politico- culturale del centrosinistra, sia quello di ispirazione cattolica sia quello di derivazione comunista.
In fondo è questo che ha reso insidiose le frasi della Boschi. Rappresentavano, certo in modo involontario, un’ulteriore frattura simbolica con la memoria storica del centrosinistra in un momento in cui il gruppo Renzi è accusato di aver troncato tutte le radici e di essere solo un’alleanza di potere che vive in un eterno presente. L’accusa è pericolosa perché il premier, l’uomo della rottamazione, fin qui aveva fatto poco per intestarsi una tradizione costituzionale. Ora corre ai ripari. Ed ecco i personaggi del dopoguerra presentati come fautori di una riforma più o meno analoga a quella che il governo Renzi ha fatto approvare. Anche in questo caso non mancano i rischi, perché si tratta di annettersi una serie di personalità scelte e citate come se fossero le figurine di un album. Nessuno può sapere che giudizio darebbero oggi della riforma Berlinguer, Ingrao, Fanfani, Dossetti, Nilde Iotti eccetera. Però, al di là delle forzature, è evidente il tentativo di ricostruire un passato per collocarvi la riforma. È uno sforzo che richiederà maggiore spessore e coerenza, ma il tempo di qui a ottobre non manca. Quanto a Piero Calamandrei, anch’egli citato da Renzi, è noto che favoriva un sistema presidenziale. Un sistema ricco di “pesi e contrappesi” per bilanciare il potere dell’esecutivo. Non tutti sono d’accordo che la riforma più l’Italicum garantisca tale equilibrio.