mercoledì 25 maggio 2016

Repubblica 25.5.16
Enrico Credendino.
L’ammiraglio al comando di “Sophia”, l’operazione militare con finalità umanitarie: “In mare c’è una sola legge, chi è in difficoltà va salvato. Dobbiamo smantellare il business dei trafficanti di esseri umani”
“Così la flotta europea fermerà il traffico d’armi e combatterà gli scafisti”
di Gianluca Di Feo

«IN mare c’è una sola legge, chi è in difficoltà va salvato. È un obbligo morale, che non dimentichiamo mai, anche se la nostra missione è un’altra: dobbiamo smantellare il modello di business degli scafisti. E per farlo in modo efficace bisogna andare in Libia». L’ammiraglio Enrico Credendino da un anno comanda la flotta europea che combatte i trafficanti di uomini, un’inedita operazione militare con finalità umanitarie.
È stata chiamata “Sophia”, come la bambina somala nata il 24 agosto 2015 sulla fregata tedesca che l’aveva soccorsa: una bimba che ora cresce serena in Germania. Credendino ha 53 anni ed è un veterano: in passato ha guidato le navi dell’Unione impegnate nella lotta ai pirati somali e gestito la pianificazione di Mare Nostrum, con il salvataggio di 150 mila persone. Oggi ai suoi ordini ci sono la portaerei Cavour, quattro fregate e 1.500 militari di 24 paesi, incluse nazioni senza mare come Austria e Lussemburgo, che si preparano a un doppio cambiamento. Due giorni fa Bruxelles ha accolto la richiesta di aiuto del presidente Fayez Serraj per formare la guardia costiera libica. Inoltre la squadra navale europea contribuirà a potenziare l’embargo e fermare le armi destinate a milizie e terroristi.
«La Libia è una Somalia nel cuore del Mediterraneo: solo con la stabilizzazione del paese potremo bloccare i trafficanti. Il nuovo governo sta facendo i primi passi in questa direzione e la rinascita della guardia costiera sarà un segnale importante. In quattordici settimane possiamo formare i primi cento uomini, in acque internazionali, trasformando una nostra nave in scuola. Inoltre ci sono otto vedette pronte alla consegna, che erano state allestite dall’Italia per il governo libico prima dello scoppio della guerra civile. Certo, avremo bisogno di nuovi mezzi e personale qualificato ma, quando arriverà l’ordine definitivo da Bruxelles, potremo muoverci in tempi brevi: in tre-quattro mesi i libici saranno in grado di agire autonomamente ».
Cosa cambierà con la presenza di una guardia costiera libica efficiente?
«Sarà possibile passare alla nuova fase dell’operazione e condurre insieme a loro la caccia agli scafisti nelle acque territoriali, dopo l’autorizzazione dell’Onu. Anzitutto, si ridurranno drasticamente le vittime dei naufragi: oggi avvengono quasi tutti davanti alle coste dove non riusciamo a intervenire. A quel punto inoltre i trafficanti non avranno più spazi di manovra. È già accaduto in Somalia: quando abbiamo schierato le navi davanti ai porti, i pirati hanno rinunciato agli attacchi ai mercantili e sono tornati a fare i pescatori. Oggi i pescatori libici hanno paura dei clan. Allo stesso tempo sanno che se si mettono in affari con loro, appena escono dai confini gli confischiamo le barche. Quando saremo lì, potremo offrire protezione e incentivi, permettendogli di riprendere la loro antica attività».
Nelle acque territoriali libiche come vi comporterete?
«Noi applichiamo in maniera rigorosa il principio del “non respingimento” e quindi i migranti non verranno riportati in Libia. La soluzione a lungo termine non potrà che essere un accordo globale tra Ue e Libia, ma prima è necessario che il paese torni alla stabilità. Quello che va capito è dove porteremo gli scafisti presi nelle acque interne, perché bisogna definire bene il quadro legale e le condizioni di detenzione».
I trafficanti dispongono però di estese complicità, che gli hanno permesso di prosperare. Come contate di batterle?
«Oggi si stima che tra il 30 e il 50 per cento del pil della Tripolitania provenga dal traffico di uomini, con interi clan tribali che guadagnano dall’affare. La nostra presenza ha già un effetto deterrente: i boss hanno dovuto rinunciare alle imbarcazioni in legno, che permettevano di caricare un numero elevato di persone, e ormai usano solo gommoni. Il governo Serraj però ha mostrato la volontà di contrastare il traffico. Già in passato ci sono state rivolte popolari contro gli scafisti senza scrupoli: dopo il naufragio dell’estate 2015 a Zuara la milizia locale imprigionò i responsabili e le partenze furono fermate per mesi. E quando potremo agire anche a terra, riusciremo a catturare i capi delle organizzazioni, che si tengono lontani dal mare».
Però tanti continuano a salpare.
E si teme un’ondata estiva verso le nostre coste: si parla di 800 mila persone.
«I dati finora non segnalano un incremento rispetto al 2015. Sappiamo che in Libia ci sono 150 mila migranti in attesa di partire. Per il resto si tratta di 200 mila rifugiati che vivono lì da anni e 400 mila libici che hanno lasciato le case per la guerra civile: se la situazione interna non precipiterà, è difficile che si mettano in viaggio verso l’Europa».
Già, ma l’accordo con Ankara e la chiusura della rotta balcanica potrebbero aumentare le partenze per l’Italia dal Medio Oriente.
«Questa possibilità esiste e bisogna essere pronti. Dal momento dell’entrata in vigore dell’accordo abbiamo intercettato dieci grossi barconi partiti dall’Egitto e cinque velieri salpati dalla Turchia. In teoria, i profughi siriani possono anche volare in Sudan dove non hanno bisogno di visto e ci sono compagnie che offrono viaggi low cost. Ma poi la marcia fino alla Libia è un inferno. Con il rischio di finire schiavi o venire catturati dal Daesh».
Quali sono i rapporti tra scafisti e Stato islamico?
«Non ci sono connessioni operative, solo un flusso di denaro. Il Daesh ottiene una sorta di pizzo dai trafficanti e impone un pedaggio a chi attraversa le loro zone. È molto improbabile che i terroristi si mischino ai migranti: sanno che al momento dello sbarco verranno identificati e hanno strade più sicure per raggiungere l’Europa».
L’Is è riuscito a trasferire armi via mare. E controllare oltre 1.200 chilometri di coste non è semplice… «Ci stiamo preparando a contribuire alla sorveglianza per fare rispettare l’embargo. Ci vorrà una risoluzione delle Nazioni Unite e avremo bisogno di più mezzi. Ma i porti da vigilare sono concentrati in zone determinate della Cirenaica e dovremo ispezionare solo le navi sospette. Un’attività che sapremo compiere, ma tutto sarà sempre gestito insieme ai libici».