mercoledì 25 maggio 2016

Repubblica 25.5.16
Le sex zombie di Bill negli incubi di Hillary
di Vittorio Zucconi

EVOCATA da Donald Trump nel vodoo della lotta elettorale con Hillary, si leva dalle tombe del passato di Bill Clinton la processione delle “sex zombie”, delle donne che negli anni lo accusarono di molestie o violenze. Sono tante. Si chiamano Paula, Gennifer, Juanita, Kathleen, Eileen, Cristy, Connie e naturalmente Monica. Per ora, le clip video montate dagli stregoni al soldo Trump si sono limitate a usare le voci anonime di tre di loro, Monica Lewinsky, Juanita Broaddrick e Kathleen Willey, ma se la danza macabra delle “sex zombie” dovesse pagare in termini di sondaggi, nessuna e niente di quel passato ci saranno risparmiati.
Saremo condannati a rivivere tutto, con il brivido di orrore e di vergogna di chi quei giorni li visse da vicino. Torneranno il baschetto birichino di Monica che abbraccia Bill di ritorno da un viaggio; il nasone di Paula Jones, la volontaria che lo accusò di essersi spogliato davanti a lei in una stanza d’hotel e regalò dettagli poi smentiti su suoi tatuaggi in luoghi assai privati; i singhiozzi di Juanita Broaddrick, che ricordò di avere subito violenza, mentre invano lo implorava di «no... no… non farlo»; il lamento dell’assistente di volo Eileen che disse di avere sentito la sua mano dove non sarebbe dovuta essere. Addirittura la denuncia di una studentessa di Oxford che nel lontanissimo 1969 fece rapporto contro il compagno di studi Billy nell’Università britannica per molestie sessuali. Il tutto, in questo primo video su Instagram, con l’audio di una risata satanica di Hillary, che sogghigna come la Strega dell’Est nel Mago di Oz sotto l’immagine sfrontata del marito con un enorme sigaro tra le labbra, sguaiata allusione ai suoi presunti giochi sessuali con Monica Lewinsky. Nulla ci sarà risparmiato perché quella storia esiste e, tra le sussiegose indignazioni dei politologi e l’ipocrisia perbenista del pubblico interrogato dai sondaggi, la strategia del fango funziona e funziona da sempre. Furono usate cartelle cliniche rubate a psichatri per insinuare che il senatore Eagleton fosse malato di mente, figlie adottive scure di pelle per far credere che il candidato, in quel caso McCain, avesse avuto una relazione segreta con una donna di colore, confessioni di segretarie messe incinta dallo sposatissimo democratico Edwards, arresti per guida in stato di ubriachezza da ragazzo rivelati dagli uomini di Gore contro Bush nelle ore prima del voto, in un basso continuo di “ negative campaigning”, di sporchi trucchi che vogliono cementare il voto contro l’avversario.
Che il voluminoso passato del “ Molester in Chief”, del molestatore in capo come fu definito Clinton negli anni roventi del caso Lewinsky e lo portò all’impeachment, all’incriminazione per falsa testimonianza con assoluzione, fosse destinato a tornare e a marciare era ovvio. Non sarebbe potuto essere “The Donald”, nella sua spregiudicatezza da direttore di pista nel circo, a lasciarselo sfuggire e a non usarlo come arma per colpire molti bersagli con una sola freccia.
Riesumando le “sex zombie” dalla vita di Bill, Trump può incrinare il racconto della “Prima Donna Presidente”, indicandola non come campionessa della nuova femminilità emancipata, ma come “ enabler”, complice interessata dell’aggressivo maschilismo del coniuge. Può offuscare il ricordo nostalgico dell’ex presidente, oggi il più amato del Dopoguerra, ricordardo le ombre della sua vita privata e accantonando i successi di una presidenza che produsse 22 milioni di nuovi posti di lavoro, ridusse di sette milioni la povertà e lasciò al successore un bilancio pubblico in attivo, che George W. Bush provvide a distruggere. E ricorda anche a chi non volesse ricordarlo che Hillary è, e rimane, la socia nella vita, e in politica, del potentissimo marito nella “Clinton Spa”.
Persino Ken Starr, l’inquisitore superpartigiano voluto dai Repubblicani per costruire l’impeachment e che spese 150 milioni di dollari per scoprire dove fosse finito il sigaro di Bill con Monica, oggi, divenuto rettore di un’università del Texas, si è detto ieri inorridito nel vedere la riesumazione di casi legalmente chiusi e sepolti. Ha lodato il riscatto del suo ex imputato negli anni dopo la presidenza, invano. La furia devastatrice e l’ambizione del Donald, il rancore inestinguibile degli ultrareazionari che mai digerirono “l’immorale” Bill, i suoi successi e l’eredità raccolta dall’aborrito “usurpatore” di sangue africano non conoscono prescrizioni o perdoni o assoluzioni. Trump è lo squalo che punta al sangue, il cavaliere della nuova Apocalisse repubblicana che cavalca il vento della rabbia per gonfiare il proprio narcisismo. Colpirà sempre più in basso, scaverà nelle fogne e nei sepolcri per vincere. Sperando che gli scheletri nelle proprie tombe, le donne, le truffe, le bugie, i casinò, le tasse non pagate, continuino a dormire e non comincino contro di lui la danza macabra che ha scatenato contro gli altri.