Repubblica 23.5.16
Atene, via libera alla nuova austerità
Sì
del Parlamento alle misure del governo: dagli aumenti dell’Iva ai tagli
automatici in caso di sforamento Entro martedì da Bruxelles l’ok agli
aiuti, possibile anche un compromesso sulla ristrutturazione del debito
di Ettore Livini
MILANO.
Ue e Fmi litigano sul debito della Grecia mentre il Parlamento di Atene
approva l’ennesima dose di austerità imposta dai creditori. Sì compatto
(con 153 voti su 300) della maggioranza a una manovra pari all’1,6% del
pil. Le misure approvate comprendono tasse su benzina, caffè, birra,
pay-tv e giochi, la costituzione di una holding pubblica per le società
da privatizzare, la riforma dei prestiti in sofferenza e il meccanismo
di tagli automatici in caso di sforamento del budget chiesti dal Fondo.
«Il nostro messaggio all’Europa è chiaro – ha detto il premier in aula
-. Noi manteniamo le nostre promesse». L’esecutivo Syriza-Anel ha
completato (in ritardo di 6 mesi) i compiti a casa chiesti dalla Troika
in cambio del piano di aiuti da 86 miliardi. E si presenterà
all’Eurogruppo di domani con la speranza di centrare due obiettivi: il
via libera alla tranche di aiuti necessari per evitare il default a
luglio e – soprattutto - il piano per la ristrutturazione del debito.
L’appuntamento
di Bruxelles non sarà comunque una formalità. La Grecia, per una volta,
mette sul tavolo risultati concreti. A presentarsi divisi però questa
volta sono i creditori. E il pomo della discordia è proprio come e
quando sforbiciare l’esposizione ellenica. Il Fondo Monetario sul tema è
drastico: le previsioni del piano di salvataggio sono irrealizzabili.
Se si vuole mettere in sicurezza il paese una volta per tutte, è
necessario consentire ad Atene di non pagare interessi e rate fino al
2040, spalmando il resto con tassi ridotti all’1,5% fino al 2080.
Altrimenti Washington si sfilerà dal salvataggio.
Queste
condizioni sono inaccettabili per l’Europa, soprattutto per la Germania.
Berlino voterà nel 2018 e il timore di Angela Merkel è che fare troppo
concessioni a Tsipras porti acqua al mulino della destra anti-Ue
dell’Afd. La Cancelliera però ha un’altra esigenza: chiudere al più
presto la partita greca per evitare pericolose sovrapposizioni con
Brexit e voto spagnolo. E farlo evitando l’addio dell’Fmi, la cui
partecipazione al piano è una condizione imprescindibile posta dal
Parlamento tedesco.
Gli sherpa dell’eurogruppo informale di oggi
cercheranno così di mettere nero su bianco una proposta di compromesso
in grado di far contenti tutti. L’ipotesi cui si lavora nelle ultime ore
prevede il via libera immediato agli aiuti per Atene e un complesso
piano di ristrutturazione “mascherata” del debito: il Fondo salvastati
potrebbe acquistare i 52,9 miliardi di (costosissimi) prestiti
bilaterali concessi qualche anno fa alla Grecia da alcuni paesi tra cui
l’Italia, adeguandone i tassi a quelli agevolati concordati con la
Troika. L’Esm potrebbe poi rilevare i prestiti Fmi (16 miliardi) mentre
Bruxelles e Bce girerebbero al Partenone gli 11 miliardi avanzati dalla
ricapitalizzazione delle banche e gli 1,9 miliardi di profitti che
Francoforte ha fatto sui titoli di Stato ellenici. Tutti provvedimenti
che hanno il pregio di abbassare il costo del debito senza dover passare
dal Parlamento tedesco. Di ristrutturazione vera e propria poi si
parlerà solo dal 2018, come chiedono Merkel e Schaeuble. La speranza di
tutti è di trovare una quadra già domani. Un insuccesso o nuovi rinvii
rischiano di essere un colpo fatale per il governo Tsipras. Il voto
sulle misure d’austerità di ieri è stato accompagnato dalle tradizionali
manifestazioni di piazza. L’ala radicale di Syriza ha garantito nelle
ultime settimane una fragile tregua al premier votando sì (controvoglia)
alle ultime riforme, solo con il miraggio del taglio al debito. Un
deputato già ieri ha detto sì alle misure d’austerità ma “no” a quelle
sulle privatizzazioni. Senza risultati concreti in tempi stretti, il
governo rischia di sfaldarsi e la Grecia – già alle prese con il dramma
dei migranti - potrebbe essere costretta a tornare a elezioni riesumando
il pericolo dell’uscita dall’euro che sembrava finito definitivamente
in soffitta. Un rischio che nessuno, a parole, vuole davvero correre.