Corriere 23.5.16
Nella crisi di Cuba Ha vinto il turismo
risponde Sergio Romano
Mi
piacerebbe conoscere la sua opinione circa questa improvvisa scoperta
di Cuba da parte dell’Occidente subito dopo che si è verificata la
«riconciliazione» con l’America: arrivano i Rolling Stones, avvengono
sfilate di moda, giungono navi di turisti e quant’altro. Senza il
benestare americano questo non sarebbe potuto avvenire prima? Come mai
gli Usa hanno impiegato tanti decenni a riconoscere questo governo?
Perché non era particolarmente democratico? Quando sento questa
argomentazione mi viene da sorridere amaramente pensando al tasso di
democrazia presente negli scorsi decenni, nei Paesi filo-americani
circostanti del Centro e Sud America. E come mai, se così veemente e
duratura è stata l’opposizione americana di fronte a questo regime,
l’America non ha mai provveduto a «normalizzare» la situazione,
ricorrendo magari a un qualche pretesto come avvenuto con il Vietnam o
con l’Iraq?
Paolo Novaresio, Torino
Caro Novaresio,
I
grandi eventi politici hanno sempre giovato alla reputazione turistica
dei luoghi in cui sono stati organizzati. Quando gli Stati Uniti e
l’Unione Sovietica decisero che l’incontro del 1986 fra i loro leader
(Ronald Reagan e Michail Gorbaciov) avrebbe avuto luogo in Islanda, le
agenzie turistiche registrarono un improvviso aumento dell’interesse dei
loro clienti per la città di Reykjavik. Dopo il viaggio di papa
Francesco a Cuba, nel febbraio del 2016, il suo incontro nell’isola con
il Patriarca di Mosca e la visita di Obama in marzo, era inevitabile che
L’Avana diventasse nuovamente una importante meta turistica. Ma vi sono
almeno due fattori che hanno avuto una importanza decisiva. In primo
luogo l’isola è più accogliente di quanto fosse sino a qualche anno fa.
Assetato di valuta straniera, il regime è un po’ meno poliziesco. ln
secondo luogo, sembra essere scomparso di fatto il divieto con cui le
autorità americane avevano cercato d’impedire ai loro cittadini di
visitare l’isola. Non vi riuscirono mai completamente. I servizi delle
grandi linee aeree erano stati cancellati; ma chi era veramente deciso a
visitare Cuba poteva partire dal Canada, con un volo di compagnie
gestite da Paesi che non avevano interrotto i rapporti diplomatici con
il regime castrista. L’Fbi (Federal Bureau of Investigation) finiva per
scoprirlo e si limitava generalmente a qualche formale ammonimento, ma
il divieto ebbe pur sempre l’effetto di scoraggiare molti potenziali
turisti.
Alle domande conclusive della sua lettera, caro
Novaresio, rispondo che il cambiamento della politica americana verso
l’isola è dovuto in gran parte a Barack Obama, ma anche al mutato
atteggiamento della grande comunità cubana della Florida. Finché fu
prevalentemente composta da esuli che erano diventati cittadini degli
Stati Uniti, ma conservavano ancora un vivo ricordo della patria
perduta, i parlamentari eletti in Florida dovevano tenere conto dei loro
sentimenti anti-castristi. Oggi le nuove generazioni cubane sembrano
essere interessate soprattutto alla ripresa dei contatti con i
famigliari rimasti nell’isola. Quanto alla possibilità di una prova di
forza, le ricordo che la crisi del 1961 fu risolta quando gli Stati
Uniti ottennero il ritiro dei missili sovietici dai Caraibi, ma
dovettero impegnarsi formalmente a non violare la sovranità dell’isola.