Repubblica 22.5.16
Se Renzi diventerà padrone sarà per tutti un disastro
di Eugenio Scalfari
C’È
MOLTA confusione in Europa e in Italia. Politica ed economica. Ma
poiché da almeno dieci anni il mondo intero e non soltanto l’Occidente,
che è casa nostra, sta attraversando una depressione che ricorda periodi
altrettanto calamitosi, credo sia necessario cominciare dal secondo
aspetto della crisi, cioè dall’economia.
Questa settimana le
Borse, dopo una prolungata depressione, hanno registrato un
miglioramento tuttavia lieve, ma non è questo un fenomeno di rilievo. La
novità che riguarda in special modo l’Italia consiste in un improvviso
mutamento della Germania, da una politica fin qui di costante rigore
economico e finanziario ad una improvvisa e rilevante flessibilità.
Questa parola ha ormai assunto vari significati, ma nella sua essenza
consente un trasferimento di risorse in favore d’un Paese che ne ha
urgente bisogno. Nel caso in questione in favore dell’Italia, che da
mesi ne fa urgente richiesta con motivazioni che variano seguendo sempre
nuove circostanze ma il cui obiettivo è comunque il medesimo: disporre
di maggior denaro affinché la nostra economia riprenda fiato con
conseguenze finanziarie, sociali e quindi anche politiche.
Il
presidente della Commissione di Bruxelles, Jean-Claude Juncker e il suo
vice-presidente erano da tempo orientati in questo senso, ma la Germania
si opponeva ed aveva perfino preso le distanze — sia pure in modo
felpato — dalla politica espansiva della Bce.
SEGUE A PAGINA 23
DRAGHI
da quell’orecchio non ci sentiva, ma se il freno nei suoi confronti
fosse stato tenuto troppo a lungo avremmo probabilmente assistito ad uno
scontro a dir poco drammatico. Per fortuna anche questo aspetto della
questione è stato attenuato, anzi è scomparso del tutto, almeno per ora.
La
flessibilità, per tornare al nocciolo della questione, ammonta a circa
26 miliardi di euro, motivati dal nostro governo da tre capitoli di
spesa: la necessità di spostare di un anno (dal 2016 al 2017) la
riduzione del deficit rispetto agli impegni assunti con la Commissione;
le crescenti spese per salvare gli immigrati che arrivano dal mare; le
operazioni di accoglienza, accertamento di identità e motivazioni della
loro fuga dai Paesi di origine, con annesse le spese derivanti dagli
eventuali accordi con quei Paesi per riaccoglierli. Insomma una sorta di
bonifica sociale da effettuare su una vasta zona sub-sahariana.
A
fronte di questi problemi e della flessibilità che ne è derivata, ci
sono però alcune condizioni poste dalla Commissione e dalla Germania ed
anche per sua propria iniziativa da Mario Draghi: leggi sul lavoro che
incentivino più efficacemente della tanto nominata panacea del Jobs Act;
trasferimento di entità consistenti dalle imposte sul reddito a quelle
sul patrimonio; riversare tutte le risorse disponibili ad una
diminuzione (sempre promessa ma mai realizzata) del debito pubblico e
infine una consistente diminuzione del cuneo fiscale per quanto riguarda
la parte contributiva delle imprese private. Quest’ultima ricetta
l’avevamo più volte sostenuta da almeno un paio di mesi su queste
pagine, ma il governo ha fatto orecchio da mercante rinviando al 2017 e
non certo per importi significativi. Eppure sarebbe questa la vera
panacea per nuovi investimenti e nuovi e veri posti di lavoro, con
relativo aumento della domanda.
Questa è dunque la situazione
attuale che Padoan dovrà trasformare nella legge di stabilità del 2017
in cui dovrà fornire le prime anticipazioni a Bruxelles entro il
prossimo giugno. Il tempo è breve, il lavoro è molto. Ma nel frattempo
che cosa sta accadendo nella nostra economia?
***
I problemi
sono tre: il trasferimento del grosso delle imposte dal reddito al
patrimonio. C’è di mezzo la riforma del catasto e non è uno scherzo da
poco; l’andamento del Pil e la diminuzione del deficit entro il 2017 dal
2,4 all’1,8 per cento, l’emersione del mercato nero di imprese e
lavoratori. Su quest’ultimo punto s’innesta ovviamente la lotta alle
mafie e la corruzione che ne deriva. Qui cioè non si tratta più solo di
economia ma entra in ballo anche la politica.
Ma entra in ballo
anche il nostro rapporto con l’Europa perché qui la nostra capacità di
negoziato si affievolirà di molto. La Commissione in questa occasione ha
decisamente favorito l’Italia, mentre ha penalizzato economicamente sia
la Spagna sia il Portogallo ed ha aiutato la Francia col contagocce, in
una fase per lei socialmente molto difficile. Teniamo presente queste
differenze di trattamento. La Merkel l’ha addirittura esplicitamente
motivata: l’Italia — ha pubblicamente dichiarato — è uno dei Paesi
fondatori dell’Europa e dobbiamo tenerlo presente. Non è un
riconoscimento da poco, ma su quella strada dobbiamo proseguire, che la
Merkel sia d’accordo o anche non lo sia. Noi siamo stati in tre diverse
epoche fondatori dell’Europa: ai tempi di Cesare e poi da Augusto ad
Adriano; nel Rinascimento tra il Quattrocento e i primi del Seicento,
infine nell’Ottocento non però da soli ma in buona e solida compagnia.
Ho già ricordato queste verità storiche qualche domenica fa, ma le
ricordo ancora perché credo sia fondamentale. Spetta a Renzi muoversi su
questo terreno. Capisco le imminenti elezioni amministrative; capisco
molto meno il referendum di ottobre, ma questi appuntamenti elettorali
non possono relegare in secondo o terzo piano quello di diventare uno
dei protagonisti della politica europea.
La Germania ha detto che
se le regole imposte dalla Commissione non sono rispettate dai vari
Paesi membri, per i loro interessi nazionali, questi saranno giudicati
in modo definitivo dal Consiglio dei ministri europeo, cioè dai 28 Paesi
che lo compongono. Più nazionalismo di così. E chi dovrebbe combattere
il nazionalismo dei disobbedienti? Ma dov’è la logica di tutto questo?
Solo un’Europa federata può stroncare il nazionalismo dei singoli
governi. Ed è questa la bandiera che Renzi deve impugnare. Se punta
tutto sulle elezioni e sul referendum potrà avere cattive soprese e
quand’anche fossero buone rafforzerebbero il suo potere personale. Per
farne che cosa?
Questa è la domanda cui deve rispondere. A se stesso, alla propria coscienza politica prima che agli altri.
I
candidati delle principali città che voteranno il 5 giugno sono di
modesta levatura. Difficilmente trascineranno le folle al voto. Renzi ha
detto che si farà in quattro e ne ha certamente la capacità, ma Grillo
anche lui ce l’ha, anche la Meloni e Salvini. Berlusconi l’aveva un
tempo, anzi era imbattibile, e tuttavia Prodi lo sconfisse ben due volte
su quattro. Oggi comunque Berlusconi è muto. Tutt’al più si occupa del
Milan e di Mediaset, di politica no, a meno che… Molti, che hanno buona
memoria, pensano che negli ultimi giorni farà un colpo di scena.
Conoscendolo abbastanza lo penso anch’io, ma il colpo di scena per esser
tale deve sorprendere, e deve anche avere qualche chance di successo.
Quella che avrebbe l’improvvisa alleanza con la Meloni e quindi anche
con Salvini. La destra riunita potrebbe anche andare al ballottaggio con
la Raggi o con Giachetti, e può persino vincere. Io penso questo. Certo
non la voterò, ma molti invece sì.
Giachetti è un radicale
passato da tempo a Renzi ma ebbe gli insegnamenti da Pannella. Immagino
che abbia seguito con commozione più che comprensibile le varie camere
ardenti, piazza Navona, funerali laici, sfilate e celebrazioni. Pannella
però di politica vera e propria non sapeva niente, non era quella la
sua missione. Quindi Giachetti ha solo Renzi come maestro. Tuttavia il
suo nome è pressoché sconosciuto ai romani. Spero bene per lui ma non
sono ottimista.
In realtà, tra le varie città in lista ce n’è una
soltanto dove il candidato, che ha già governato la città con buonissimi
risultati ed ora si è riproposto, è Fassino a Torino. Forse, così spera
lui e spero anch’io, ce la farà al primo turno. Se dovesse affrontare
il ballottaggio con i Cinque Stelle la battaglia non sarà facile, ma
forse la vincerà.
Le altre piazze, salvo Merola a Bologna, hanno
tutte candidature modeste poiché modesta è la classe politica attuale.
La speranza è nei giovani, sempre che abbiano voglia di politica.
E
poi c’è il referendum. L’appuntamento è decisivo. Se Renzi vince sarà
padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile
fare previsioni. Personalmente — l’ho già detto e scritto — voterò no,
ma non tanto per le domande del referendum quanto per la legge
elettorale che gli è strettissimamente connessa. Se Renzi cambia quella
legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò
sì, altrimenti no. E immagino che siano molti a votare in questo stesso
modo.
Pensaci bene, caro Matteo; se anche vincessi per il rotto
della cuffia sarai, come ho già detto, un padrone. Ma i padroni corrono
rischi politici tremendi e farai una vita d’inferno, tu e il nostro
Paese.