Repubblica 22.5.16
Lezioni di antifascismo dal confino
di Francesca Bolino
Confino:
«Un colossale edificio di mistificazione e di frode», come lo definì
Primo Levi. Furono quindicimila gli italiani condannati tra il 1926 e il
1943. Fra loro migliaia di antifascisti. Non una “villeggiatura”
concessa da Mussolini ai suoi, stereotipo che ancora a volte emerge
nell’opinione pubblica italiana. Per questo è particolarmente utile il
lavoro di Ilaria Poerio, studiosa dell’Italia e dell’Europa
contemporanee, che nel suo saggio A scuola di dissenso
ci
restituisce, nella sua verità, un importante capitolo della nostra
storia. Che permette, in controluce, anche di ricostruire il modo in cui
venne organizzato il dissenso e la lotta politica al regime. Se
l’obiettivo del fascismo era quello di annichilire l’opposizione, questo
libro dimostra che l’intento non fu raggiunto. Perché le colonie di
confino, «con difficoltà ed esiti diversi», si trasformarono in
laboratori politici, in scuole e riunioni di partito, in università
dell’antifascismo. Si parlò persino del “governo di Ventotene” e non si
può dimenticare che proprio in quell’isola, ad opera di Altiero Spinelli
ed Ernesto Rossi fu redatto il manifesto per un’Europa libera e unita
che sarebbe diventato uno dei testi fondanti del processo di
unificazione europea. Gli esiti delle condanne contro gli oppositori fu
dunque paradossale.
C’è poi la parte che ricostruisce i meccanismi
del confino: ci si andava in base alle leggi “fascistissime” del 1926
che davano una definizione piuttosto generica di «persona pericolosa». E
che ripescarono una pratica inventata dai romani: a Ventotene la prima
confinata fu Julia, figlia di Cesare Augusto, grazie a una legge emanata
dal padre per punire le donne accusate di adulterio.
A scuola di dissenso di Ilaria Poerio Carocci pagg. 241, euro 26