Repubblica 20.5.16
Referendum su Renzi
di Ilvo Diamanti
MANCANO
due settimane alle elezioni amministrative, che interesseranno oltre
1.300 comuni. Di questi, tredici superano i 100 mila abitanti. È,
dunque, un appuntamento importante. Per i cittadini, per la società
locale. E per il governo. In Italia, infatti, non c’è elezione che non
abbia interesse “nazionale”. In questa occasione forse più che in altre.
SEGUE A PAGINA 16 PAOLO GRISERI E MICHELE SERRA DA PAGINA 17 A PAGINA 21
PERCHÉ
il risultato influenzerà il clima d’opinione, in vista del referendum
costituzionale del prossimo ottobre. Scelto da Matteo Renzi per
legittimare se stesso. Come premier e come leader. Ma il significato di
questa scadenza dipende anzitutto dall’importanza delle città dove si
vota. In primo luogo, Roma capitale. Quindi Milano, Napoli, Torino.
Anch’esse “capitali”. E Bologna. A sua volta, storicamente, capitale
dell’Italia “rossa”. Si vota, ovviamente, anche in altri comuni
importanti. Ma queste città ci sono apparse particolarmente
significative per svolgere un sondaggio, su campioni rappresentativi
della popolazione. Consapevoli che il rischio di “non prenderci” è
elevato. Come avviene regolarmente. Per ragioni che, dopo il voto,
vengono invocate come scuse. Ma sono reali. Fra tutte: l’elettore è
sempre più mobile. Disilluso. E l’offerta politica – partiti,
coalizioni, leader – cambia. Sempre più. Così è complicato cogliere
tendenze finite e definite. Perché i sondaggi non “pre-vedono”, ma, se
va bene, “vedono”. Ciò che avviene in un determinato momento. E due
settimane sono un periodo lungo, considerati i tempi di (in)decisione
del voto. Tuttavia, alcuni orientamenti appaiono piuttosto chiari. A
Bologna, Torino, Napoli, in particolare, dove si sono ricandidati i
sindaci in carica. Un fattore che conta, nelle scelte degli elettori.
Infatti, sembrano tutti vicini alla conferma. Anche se non è certo che
riescano a imporsi al primo turno. E ciò costituisce comunque un
rischio. Anche quando la soglia del 50% è vicina. Basti pensare al
precedente di Bologna, appunto. Quando, nel 1999, Silvia Bartolini,
candidata Ds, dopo essersi avvicinata al 47% al primo turno, perse il
ballottaggio con Giorgio Guazzaloca. In questa occasione Virginio
Merola, sindaco uscente, pare molto vicino alla maggioranza assoluta.
Potrebbe farcela. Ma non è possibile, comunque, fare previsioni certe.
Neppure sullo sfidante. Massimo Bugani, candidato del M5S, e Lucia
Borgonzoni, sostenuta da Lega e FI, sono molto lontani da Merola. Ma
vicini fra loro. Entrambi poco sopra il 15%. In caso di ballottaggio,
comunque, l’esito appare scontato. Troppo largo il distacco perché si
ripeta la sorpresa del 1999.
Anche altrove, fra le città “sondate”, emerge un dubbio analogo. Relativo, cioè, allo sfidante più che al vincente.
A
Roma e a Napoli, in particolare. Nella Capitale, infatti, Virginia
Raggi, candidata del M5S, al primo turno, appare in testa. Oltre il 30%.
Ma non è chiaro chi affronterà, nel ballottaggio, fra Giorgia Meloni e
Roberto Giachetti, candidati della Destra, la prima, e del Pd, l’altro.
Entrambi sopra il 20%, ma non di molto. Mentre appare fuori gioco Alfio
Marchini. Poco sopra il 10%. Penalizzato, fra l’altro, dall’immagine di
“ruota di scorta” di Berlusconi. Che aveva puntato, fino all’ultimo, su
Guido Bertolaso. Più dietro c’è Stefano Fassina, il cui risultato, però,
“pesa” perché erode consensi al centro- sinistra. Nel ballottaggio,
comunque, nessun candidato sembra avere chances, nel confronto con
Virginia Raggi. Che potrebbe insediarsi e insediare l’antipolitica al
centro della politica. Il M5S: al governo di Roma.
Non molto
diverso il caso di Napoli, dove Luigi de Magistris è accreditato, al
primo turno, di un risultato molto elevato, oltre il 40%. Inavvicinabile
per i possibili sfidanti, Matteo Brambilla, M5S, Gianni Lettieri, FI, e
(ultima) Valeria Valente, Pd. Tutti lontani dal sindaco in carica,
secondo le stime elettorali. Tanto più in caso di ballottaggio.
Anche
a Torino i dati del sondaggio di Demos-Repubblica, lasciano prevedere
la conferma di Piero Fassino. Ma, di nuovo, dopo un ballottaggio con la
candidata del M5S, Chiara Appendino.
Resta Milano. La Capitale del
Nord. In particolare, della Lega Nord, che la “conquistò” nel 1993.
Quando Formentini divenne sindaco. Ebbene, 23 anni dopo Milano resta un
teatro esemplare del cambiamento avvenuto, dopo il crollo della
(cosiddetta) “Prima Repubblica”. A Milano, infatti, si confrontano due
figure per molti versi simili. Due tecnocrati. Evocano il “governo degli
esperti”, che ha guidato l’Italia, per alcuni anni. L’era del
“montismo”, che il “renzismo” sembra aver destinato al “governo” della
capitale economica. Milano, appunto. Dove, secondo il sondaggio di
Demos-Repubblica, Beppe Sala, il candidato del Pd e del Centrosinistra,
appare favorito su Stefano Parisi. Rispetto al quale risulta davanti nel
primo turno. Mentre nel ballottaggio il suo vantaggio cresce e risulta
più ampio di quanto è emerso in altri sondaggi.
A favore di Sala
giocano, sicuramente, la popolarità del sindaco in carica, Pisapia. E il
giudizio positivo espresso dai cittadini nei confronti del lavoro
dell’amministrazione uscente.
Peraltro, nelle città dove si è
svolto il sondaggio di Demos per Repubblica si rileva una maggioranza di
sì (superiore al 40%) al referendum costituzionale del prossimo
autunno.
Nell’insieme, questo sondaggio conferma l’immagine di un
Paese di paesi. E di città. Perché, per citare Carlo Azeglio Ciampi,
l’Italia è unita dalle sue diversità. La riforma del 1993 ha rafforzato
questo profilo. Perché ha introdotto l’elezione diretta dei sindaci. E,
al tempo stesso, ha “personalizzato” le specificità del territorio e
della società. Per questo, il voto amministrativo costituisce
un’importante occasione di verifica “popolare” sui governi e sui sindaci
delle nostre città. Che si tradurrà, inevitabilmente, in un giudizio
sul Sindaco d’Italia.