Repubblica 20.5.16
Perché il referendum sarà comunque un bivio
gnorare che il sì o il no alla riforma sarà considerato anche un sì o un no a Renzi premier è una posizione non sostenibile
di Massimo L. Salvadori
INFURIA
— come una tempesta in una bacinella — la polemica sulla
“personalizzazione” del referendum costituzionale. Le posizioni in campo
sono tre: quella di chi dice che la personalizzazione è colpa di Renzi;
quella di chi sostiene (lo fa ora a gran voce il premier) che essa è
invece colpa dei suoi avversari; quella di chi ammonisce che, essendo la
Costituzione un bene comune, la saggezza dovrebbe indurre a
pronunciarsi svincolando il voto dalle sorti particolari del governo e
di chi lo guida. Fatto è che non c’è modo di evitare che l’approvazione
della riforma costituzionale risulti un grande successo per Renzi e che
la sua disapprovazione costituisca per contro una secca sconfitta per
lui, tale da segare le gambe della poltrona su cui siede a Palazzo
Chigi. Questa è la realtà, ed è inutile cercare di girarvi intorno.
Certo, se si vuole indulgere nella ricerca della “responsabilità” di chi
ha dato inizio alla personalizzazione, credo sia indubitabile che è
stato Renzi, a partire dal momento stesso in cui ha asserito, insistendo
nel ripeterlo, che batterlo al referendum significa tout court
sconfessare il tassello fondamentale del progetto riformatore che ha
dato e dà senso alla sua azione di governo e sorregge la sua leadership.
Compiuto il passo, la polemica sulla personalizzazione è balzata sulla
scena e non vi è santo che a questo punto possa disinnescarla.
Ma
ci si ponga l’interrogativo. È un attentato alla democrazia la
personalizzazione, è un prepotenza personalistica che un premier
concluda in relazione all’esito delle urne: io ho “fortissimamente
voluto” il benfatto o — visto dalle opposizioni — il malfatto, e quindi
il dovere di responsabilità nei confronti degli elettori mi induce a
proseguire nella strada intrapresa oppure a togliere l’incomodo
lasciando ad altri il timone?
Cercare di ignorare che l’intero
popolo italiano considera e considererà il sì o il no alla riforma
costituzionale anche un sì o un no a Renzi premier significa assumere
una posizione non sostenibile.
Ma immaginiamo lo scenario se la
riforma non passasse. Il giorno dopo tutti i giornali titolerebbero — e
ne avrebbero ragione — “La sconfitta di Renzi”; le opposizioni
griderebbero che la bocciatura è stata un grande “plebiscito” del buon
popolo contro l’aspirante dittatore che mirava ad affossare la più
nobile Costituzione del mondo; la minoranza Pd, con toni forse solo un
poco più garbati nella forma, attaccherebbe ancor più il
segretario-premier che ha le ambizioni di essere un leader ma non lo è,
che ha snaturato il partito svincolandolo dalla sinistra e portandolo ad
un centrismo moderato-verdiniano e infine ha fallito. Renzi ne
uscirebbe più che politicamente delegittimato: azzoppato. E nel caso in
cui non lasciasse il suo ruolo di premier- segretario, non sarebbe che
uno sconfitto senza forza. Se poi tirasse la drastica conclusione di
ritirarsi dalla vita politica, come pure ha affermato che farebbe, ne
deriverebbe, credo, un non auspicabile impoverimento di quella stessa
vita.
Non vi è dubbio che la vittoria del no al referendum
verrebbe presentata come un plebiscito contro Renzi e si invocherebbe il
suo licenziamento. Le conseguenze, più che ipotetiche quanto mai
probabili, sarebbero: la caduta del governo, l’andata al voto con il
sistema proporzionale puro, il contendersi il consenso popolare da parte
di un sistema partitico in pieno affanno. Un sistema disarticolato
dalla presenza di una Forza Italia che non si sa più cosa sia e dove
voglia andare, da una destra composita e litigiosa dove Salvini ambisce
rumorosamente al trono, da un piccolo arcipelago di centro-destra
frammentato in correnti che guardano le une a una parte e le altre a
quella opposta, da un movimento 5Stelle colpito da turbolenze, da un Pd
in preda ai regolamenti interni e molto indebolito, da una Sinistra
Italia-Sel impegnata a raccogliere quante più spoglie può a danno della
sinistra che si è snaturata.
Quali maggioranza e governo, quale
stabilità dei governi e delle istituzioni potrebbero uscirne lo sa solo
il Padreterno. Non è difficile prevedere che l’Italia andrebbe ancora
una volta incontro ad una crisi organica del suo sistema politico.
Le
pennellate del quadro non sono sul luminoso, ma è difficile pensare che
non tratteggino uno stato delle cose assai plausibile. Chi ritiene che —
una volta affossato Renzi, rimessi in sella la Costituzione nata dai
compromessi del dopoguerra e il bicameralismo perfetto, ridato fiato al
meccanismo che ha favorito formazione dei governi senza numero
susseguitisi dal 1948 ad oggi — lo stellone d’Italia si troverà in
condizioni migliori per tornare a risplendere, si mostra davvero
ottimista.