domenica 1 maggio 2016

Repubblica 1.5.16
L’amaca
di Michele Serra
PER le elezioni comunali a Roma, intese come evento complessivo, si comincia a nutrire una inevitabile simpatia: sono una somma quasi prodigiosa di debolezze, il più grande scontro di cocci che la storia ricordi. Hanno qualcosa di surreale, di scombiccherato, di veramente post-politico. A parte pochi e poveri resti della fu politica italiana (il manierismo borgataro di Meloni, il solidarismo “de sinistra” di Giachetti, il trasformismo curiale di Marchini), è tutto un gran casino. Post partiti, alleanze in briciole, il cadavere di Marino di traverso sui sampietrini, Berlusconi ormai impazzito e ormai bassissimo che entra e esce dai portoni annunciando nuovi candidati, i fake (in buon italiano: stronzate) che danno il ritmo alla campagna elettorale, con la cinquestellina Raggi accusata a vanvera di essere la brunetta (una delle) che cantò per Silvio, e poi uno scambio tra buontemponi su Facebook che diventa, per la stessa Raggi, la prova di un nuovo patto del Nazareno. Raggi, che grossomodo non sembra sapere granché di Roma come di altrove, è in un certo senso l’eroina, e meritatamente la favorita, di questo torneo inaugurale della nuova Repubblica. La terza, la quarta, la quinta, non si capisce bene, provate a cercare sui social, magari qualcuno ve lo spiega. Ma occhio ai fake.