Repubblica 19.5.16
L’eterno ritorno del teorema Foucault
La riscoperta (anche editoriale) del filosofo che più di ogni altro ha scavato nei meccanismi punitivi e seduttivi del potere
“Quando Michel entrava in una stanza provocava un campo magnetico”, racconta Gilles Deleuze
Fa sue e poi supera le lezioni di Hobbes e di Nietzsche applicando alcune loro intuizioni al sistema capitalistico
di Roberto Esposito
Gilles
Deleuze racconta che Michel Foucault non era percepito come una
persona, ma come un moltiplicatore di effetti: «Quando entrava in una
stanza provocava un cambiamento di atmosfera, una specie di evento, si
determinava un campo elettrico o magnetico». A questa capacità di
modificare opinioni consolidate, di sollecitare nuovi sguardi sulla
realtà, è legata la forza e la durata del suo pensiero. Certo, la sua
influenza si è spostata di livello nel corso del tempo. Se negli anni
Settanta, quando egli stesso era impegnato nella lotta per la
riforma
delle istituzioni carcerarie, ha influenzato in maniera diretta
soggetti e movimenti politici, successivamente la sua voce è parsa
affievolirsi nell’ambito della sfera pubblica. Ma poi, poco alla volta, è
tornata a insediarsi al centro del dibattito teorico, fino a diventare
forse la più influente nella filosofia continentale.
A cosa si
deve tale presenza? E, più in generale, cosa resta oggi vitale
all’interno della sua opera? La traduzione del Corso al Collège de
France del 1972-73, edita per Feltrinelli con il titolo La società
punitiva, a cura di Pier Aldo Rovatti e Deborah Borca, con una
postfazione di Bernard Harcourt, può costituire l’occasione per
rispondere a questi interrogativi. Quel corso, anticipando i temi del
libro apparso due anni dopo, Sorvegliare e punire,
è dedicato a
una ricerca sul ruolo sociale dell’istituzione carceraria a partire
dagli inizi dell’Ottocento. Ma, come sempre avviene in Foucault,
l’analisi storica, o più propriamente genealogica, sul passato, getta un
intenso fascio di luce sul presente. È questo singolare incrocio tra
erudizione profonda e potenza teoretica, tra storia e attualità, il
tratto più caratteristico del suo pensiero, che ne fa il riferimento
obbligato per l’apertura di sempre nuovi cantieri di ricerca.
Il
punto di partenza del libro è la domanda su quali siano i rapporti di
potere che, alla fine del XVIII secolo, hanno reso possibile l’emergenza
storica di qualcosa come la prigione. Prima di allora essa esisteva, ma
con una funzione più detentiva che punitiva. Mentre le punizioni si
inscrivevano sul corpo del colpevole con un effetto terribilmente
teatrale — gogna, rogo, supplizi, esecuzioni di piazza — a partire dai
primi dell’Ottocento l’intero sistema penale inizia a ruotare intorno al
sistema carcerario. Più che alle teorie riformiste in campo penale,
come quelle di Beccaria e di Brissot, tale trasformazione risponde per
Foucault a un’esigenza funzionale dell’organizzazione capitalistica.
Benché la prigione non facesse affatto diminuire il numero dei
criminali, anzi spesso lo aumentasse, essa aveva un doppio ruolo
strategico nella società del tempo. Quello di controllo e sorveglianza. E
quello di un disciplinamento sociale della manodopoera confacente al
modo di produzione capitalistico.
A partire da tali premesse
prendono forma gli elementi più generali di ciò che, adoperando un suo
stesso termine, potremmo definire il “dispositivo Foucault”. Al suo
centro vi è un decisivo spostamento nell’analitica del potere, che
prende le distanze da tutte le interpretazioni classiche. Il primo
passaggio di paradigma riguarda la sua relazione intrinseca con ciò che
Foucault chiama “guerra civile”. Diversamente da quanto sostiene Hobbes,
il potere non solo non interviene per mettere fine al conflitto, ma da
esso si genera, prima di riprodurlo a sua volta. La guerra civile non
coincide con lo stato naturale, ma è interna e costitutiva dell’ordine
politico. Ciò non significa che il ruolo di legittimazione della legge
venga meno, ma esso, anziché situarsi a monte, è l’esito delle lotte e
dei rapporti di forza che di volta in volte queste determinano.
Il
secondo vettore che dal testo di Foucault si irradia nella filosofia
contemporanea è costituito da una radicale applicazione del programma
avviato da Nietzsche ne La genealogia della morale. All’origine della
transizione del sistema penale dalla messa in morte pubblica nell’ancien
régime alla carcerazione moderna vi è la moralizzazione della
criminalità operata dai quaccheri che, in rottura con la tradizione
inglese della pena di morte, affidano alla prigione un compito di
redenzione del condannato.
È a partire dalla secolarizzazione di
tale concezione che la borghesia crea una società disciplinare destinata
a reprimere ogni deviazione rispetto alle nuove esigenze produttive. In
questo modo l’antico dissidente diventa un vero e proprio criminale.
Egli non è più punito perché offende il re, ma perché ostacola il
meccanismo di produzione sociale. È allora che gli illegalismi dei ceti
più poveri, prima tollerati o addirittura favoriti nelle pieghe del
codice giuridico, vengono repressi e sanzionati con una sorta di legge
del contrappasso: come il salario compensa il tempo del lavoratore
regolare, così il carcere sequestra il tempo di chi rompe le norme
sociali, condannandolo all’inoperosità.
A questo spostamento dal
regime sovrano — ancora legato ai rituali dei pubblici supplizi — alla
società disciplinare, volta al controllo normativo delle anime e dei
corpi, si connette il terzo orientamento che gli studi contemporanei
assorbono dalla lezione di Foucault. Si tratta dello spostamento
dell’analisi del potere dai piani alti della politica a quello, meno in
vista ma più esteso, delle dinamiche sociali. Il potere non passa solo
per gli apparati ideologici dello Stato, come voleva Althusser, ma anche
e soprattutto per i luoghi quotidiani della famiglia, del lavoro, della
sessualità, della scuola. Esso non si concentra in un singolo punto, ma
è diffuso lungo tutto lo scenario della vita quotidiana.
Nel
successivo saggio La volontà di sapere e nei contemporanei corsi sulla
biopolitica il progetto di Foucault trova la sua espressione più
compiuta, investendo l’intero ambito dell’esperienza contemporanea. Il
potere va colto, assunto o combattuto, non tanto nel suo effetto
repressivo, ma in quello produttivo. Ciò che conta non è quanto
impedisce, ma quanto sollecita. Non i suoi divieti, ma le sue seduzioni.
Non è questo l’enigma intorno al quale ruota ancora la nostra vita,
senza riuscire a venirne a capo?
IL LIBRO La società punitiva
(Feltrinelli traduzione di Deborah Borca e Pier Aldo Rovatti pagg. 384,
euro 35) di Michel Foucault (1926- 1984)