Repubblica 18.5.16
L’orologio del mondo spostato indietro prima della storia
di Antonio Gnoli
Si
leggono con una certa dose di meraviglia i libri di Roberto Calasso. Da
La rovina di Kasch a L’ardore egli ha disegnato una costellazione
mentale che ha pochi eguali, per sapienza, erudizione, stile,
originalità. Ogni sua opera ricomprende antico e moderno e lascia
affiorare le linee segrete e intrecciate di un discorso infinito. Tutto
quanto egli descrive ha il sapore della rievocazione luttuosa, ma al
tempo stesso del fasto della vita perché nulla di quei mondi, ancorché
remoti, è davvero scomparso. E allora il discorso si fa ilare,
sarcastico, feroce. Come nel Cacciatore celeste, la nuova e labirintica
avventura intellettuale, che sposta indietro l’orologio del mondo, fino a
immergersi nel clamore del prima della storia. Si passa così dalla
pratica della scrittura a quella più incerta e inquietante di una
oralità muta che si sospetta possa vivere nelle tracce sepolte di un
passato immemoriale. Nulla è definitivamente scolpito in questa
magnifica vicenda congetturale dove l’uomo resta ancora un’entità
incerta, misteriosa, sfuggente.
Il lettore riconoscerà temi
ricorrenti e nuovi: il mondo vedico, la Grecia antica, il farsi della
coscienza e la nascita della mente. Artemis e Turing. Le ricerche
paleontologiche e Henry James. Ogni dettaglio è avvolto da un misterioso
sentire, che rispecchia l’età in cui gli uomini – esseri mutevoli e
dispersi – potevano trasformarsi in animali o in entità divine. Ci fu un
tempo in cui l’essere umano non era ancora separato dal mondo animale e
da quello vegetale. L’inconfondibile timbro della metamorfosi segnava
la sua esistenza. Niente di ciò che ne richiamava i gesti era definibile
una volta per tutte. Orso, toro, uccello, lupo, serpente si mescolavano
alle sue sembianze. Ma perché quell’esistenza ancestrale assumesse il
tratto della vivibilità occorreva la presenza di nature particolari
destinate a tessere un disegno che abbracciasse i differenti mondi.
Furono gli sciamani a incaricarsi del compito di tenere assieme
l’invisibile con il visibile. I loro gesti, i loro demoni, i loro
oggetti feticcio, i loro tamburi dispersero sulla terra il suono di una
verità remota, di una conoscenza inaudita. Fu la caccia la più antica
educazione sentimentale. Per la prima volta l’uomo si trasformò in
predatore. Mise a frutto le arti dell’imitazione e del disegno. Un
nitido intreccio di emozioni primitive si depositò sulla roccia. La
linea incisa trovò così la sua strada. Il cacciatore celeste” – di cui
il gigantesco Orione sarà l’espressione più tragica – è un libro tenero e
temibile. Racconta magnificamente la fine dell’era delle metamorfosi.
In quel deposito di tracce protoumane, che distrattamente chiamiamo
preistoria, Calasso narra, come fossero favole, vicende di eroi e di
dèi, di animali e di uomini. Attraverso un’archeologia dell’orrore e
della pietà giungono a noi gli echi di incommensurabili fatiche. Quasi
che la conquista di una vita più serena e protetta, sia l’esito di un
lunghissimo cammino nel nero del prima della storia.
di Roberto Calasso (Adelphi, pagg. 510 euro 27) da cui anticipiamo un brano