Repubblica 18.5.16
Il referendum e la guerra dei due mondi
Renzi divide il campo tra gli “inciucisti” e i “bipolaristi”
A cinque mesi dal voto i toni sono già roventi e il premier è sceso in trincea
Una delle priorità è l’unità interna del Pd ma sulla riforma è impossibile
di Stefano Folli
MANCANO
cinque mesi al referendum costituzionale e i toni della campagna
elettorale sono già molto acuti. Al punto che vien da domandarsi cosa
accadrà in settembre, quando saremo quasi a ridosso del voto. Di solito
gli argomenti più forti e polemici si conservano per il gran finale
propagandistico. Stavolta vengono già sparati nell’aria come missili
letali.
È un fatto che Matteo Renzi parla di “due sistemi” a
confronto: da un lato il mondo della conservazione e del fatidico
“inciucio” (attenzione a questo termine, destinato a un “revival” di
popolarità); dall’altro lo scenario della modernizzazione,
dell’alternanza e del bipolarismo. Prima Repubblica contro Terza
Repubblica. In realtà la fotografia non è così netta. Il Sì e il No
semplificano il quadro, è ovvio, ma il futuro politico dell’Italia è
fatto di chiaroscuri.
In ogni caso, la personalizzazione del voto,
esclusa in teoria lunedì, si riaffaccia di prepotenza. Il premier è
alla guida dello schieramento innovativo e non lesina sforzi al
riguardo. È arrivato a garantire che il governo “rispetterà il responso
del popolo”: il che suona come una precisazione piuttosto scontata. Ma
nella sostanza Renzi vuole suggerire all’opinione pubblica che è stato
il suo esecutivo - quindi lui stesso - a promuovere il referendum,
quando invece esso è previsto dalla Costituzione nel caso in cui
ricorrano certe condizioni. Sono le approssimazioni imposte dalla
propaganda. Il rischio è di esagerare, offrendo un’immagine di scarsa
sicurezza o di crescente inquietudine.
Al momento le questioni sul
tavolo sono soprattutto due. La prima riguarda l’unità interna del Pd.
Unità che in sostanza non esiste da tempo, ma si tratta di salvaguardare
almeno le apparenze. Il punto dell’elezione diretta dei nuovi senatori -
rappresentanti degli enti territoriali -, sollevato fra gli altri da
Vannino Chiti in un’intervista all’Huffington Post, tradisce il grado di
insofferenza all’interno del partito renziano. La minoranza vuole
almeno una garanzia da Renzi. La garanzia che la legge si farà in tempi
brevi, ovviamente prima del termine della legislatura. In cambio di una
generica promessa, offrirà la sua adesione alla campagna del Sì. Ma
tutti sanno che sarà un consenso svogliato e superficiale, quasi estorto
a un ceto politico che non può e non vuole sottrarsi a un rituale cui
si collegano parecchie cose, a cominciare dalle liste per le prossime
elezioni politiche.
IN realtà la “base” che si rispecchia nella
linea della minoranza, al pari dei segmenti di sinistra fuori del
partito, tende a essere favorevole al No o all’astensione. L’argomento -
a parte il giudizio di merito sulla riforma - è l’ostilità al progetto
politico renziano, il fatidico “partito della nazione” che prenderà
forma in caso di vittoria schiacciante nel referendum. Un successo
limpido del governo rafforzerebbe anche l’Italicum come sistema
elettorale che non ha bisogno di ritocchi. E con ogni probabilità
spingerebbe verso elezioni ravvicinate. Una sconfitta o anche solo un
risultato di misura renderebbe conveniente modificare la legge
elettorale: troppo grande sarebbe il rischio di consegnare l’Italia ai
Cinque Stelle. Del resto, non è un caso che il custode della
maggioranza, ossia il nuovo alleato Denis Verdini, non faccia mistero -
lui che ha in animo di riunire i centristi - di considerare prioritaria
la riforma dell’Italicum.
Questo spiega l’instancabile attivismo
di Renzi nel fare campagna per il Sì con cinque mesi d’anticipo. La
posta in gioco è davvero alta e i rischi di compromettere tutto sono
altrettanto significativi. Ecco perché il tema dell’”inciucio”, ossia
delle larghe intese, ha una sua concretezza. La disfatta renziana
sarebbe un freno al bipolarismo. Ci sarebbe da ricostruire da capo un
equilibrio. E il Pd, spinto a sinistra, dovrebbe negoziare un’alleanza
con il raggruppamento centrista posto in grado di occupare uno spazio
impensabile fino a pochi mesi prima. Per un Berlusconi al tramonto
sarebbe l’ultima occasione di far pesare i suoi voti.