Repubblica 18.5.16
Tutti i no alla riforma
di Alessandro Pace
CARO
direttore, la riforma costituzionale Boschi non merita di essere
confermata dal voto popolare. Non lo merita perché risente del vizio di
origine, di essere stata il frutto di un’iniziativa governativa, e non
parlamentare, come sarebbe stato corretto; di essere stata oggetto di un
dibattito parlamentare fortemente condizionato dal governo come se si
fosse trattato di una legge d’indirizzo politico di maggioranza; di
essere stata approvata da un Parlamento delegittimato dalla Corte
costituzionale a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità del
Porcellum, in base al quale era stato eletto. Il risultato della seconda
deliberazione della Camera, indecoroso per una legge di revisione
costituzionale, è stato il seguente: 361 voti favorevoli alla
maggioranza, 7 contrari e 2 astenuti (su 630 deputati).
La riforma Boschi non merita di essere confermata dal popolo anche con riferimento ai suoi contenuti. Ne evidenzio alcuni.
1.
Il Senato, oltre a cinque senatori nominati dal presidente della
Repubblica, verrebbe eletto dai consigli regionali, nella persona di 74
consiglieri regionali e di 21 sindaci di comuni capoluogo, non quindi
direttamente dai cittadini, come invece previsto dalla Costituzione,
secondo la quale «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita
nelle forme e nei limiti della Costituzione » (articolo 1). Con il che
si è dimenticato dai riformatori che il voto dei cittadini costituisce
«il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare »
(così la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014): voto
“diretto” quindi, e non “indiretto” per il tramite dei consigli
regionali, perché la riforma Boschi né li qualifica né li disciplina
come “grandi elettori”, come avviene in Francia con i 150mila cittadini
eletti dal popolo perché a loro volta eleggano i 348 senatori.
2.
Pur non essendo eletto dai cittadini, il Senato parteciperebbe alla
funzione legislativa e di revisione costituzionale. Il che se da un lato
sarebbe incostituzionale perché è essenziale che un organo legislativo
sia direttamente legittimato dal popolo; dall’altro è inopportuno che
siano i consigli regionali a eleggere i senatori, essendo noti i
continui scandali della politica locale italiana.
3. Irrazionale è
anche la differenza numerica dei deputati (630) rispetto ai senatori
(100), che rende irrilevante la presenza del Senato — nelle riunioni del
Parlamento in seduta comune per l’elezione del presidente della
Repubblica e dei componenti laici del Csm — a fronte della soverchiante
rappresentanza della Camera. Parimenti irrazionale è il potere
attribuito al Senato di eleggere due giudici costituzionali, mentre la
Camera dei deputati ne eleggerebbe solo tre.
4. Ancorché le
attribuzioni del Senato siano diminuite, esse sono ancora molte e
gravose. Basterebbe ricordare, oltre alle competenze legislative
ordinarie e costituzionali, la valutazione delle politiche pubbliche e
dell’attività delle pubbliche amministrazioni nonché la verifica
dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Ne segue
che i 100 senatori non avrebbero tempo sufficiente per adempiere alle
loro funzioni, dovendo svolgere le funzioni di consigliere regionale o
di sindaco. Se poi tali funzioni venissero esercitate dai senatori
eletti negli stessi giorni, i soli a essere presenti sarebbe i cinque
senatori “presidenziali”, mentre se si assentassero a giorni alterni, la
media dei senatori presenti si aggirerebbe intorno a 50! Infine,
ancorché non eletti dal popolo, godrebbero dell’insindacabilità e
dell’immunità parlamentare, col rischio che il Senato divenga il
refugium peccatorum.
5. Il costituzionalismo moderno ha sempre
ritenuto essenziale la presenza di contropoteri. Mentre il Senato non
costituirebbe più un contropotere “esterno” nei confronti della Camera,
non sono stati previsti dei contropoteri “interni” alla Camera, quale,
ad esempio, il potere d’inchiesta da parte della minoranza, come in
Germania. Per la stessa ragione è criticabile che la disciplina dello
“statuto delle opposizioni” venga demandata a un regolamento della
Camera. Il quale, essendo approvato dalla maggioranza assoluta dei
componenti, si risolverebbe in un ulteriore privilegio per la
maggioranza.
6. Il governo godrebbe dell’esclusiva fiducia della
Camera dei deputati; eserciterebbe la funzione legislativa col Senato in
un limitato, ma non scarso, numero di materie, mentre nelle restanti
l’intervento del Senato sarebbe o eventuale o paritario rafforzato o non
paritario o non paritario con esame obbligatorio, con potenziali
conflitti tra le Camere. Dai due procedimenti legislativi esistenti si
passerebbe agli otto o più procedimenti. Il che non costituisce una
semplificazione.
7. Grazie all’Italicum che garantirebbe alla
maggioranza 340 seggi alla Camera, e grazie al fatto che il presidente
del Consiglio cumula la carica di segretario nazionale del Pd, il nostro
ordinamento si orienterebbe verso un “premierato assoluto”, che
condizionerebbe in negativo i poteri del presidente della Repubblica. Il
governo avrebbe a disposizione i tradizionali poteri di decretazione
d’urgenza e delegata, nonché la possibilità del voto a data certa. Al
governo è stato garantito che i disegni di legge «ritenuti essenziali
per l’attuazione del programma di governo», vengano approvati dalla
Camera entro settanta giorni. Il che è condivisibile, ma suscita il
timore che il governo finisca per restringere ulteriormente lo spazio
per le iniziative parlamentari, già limitate a meno del 20 per cento del
tempo. Il che significherebbe la fine del Parlamento.
L’autore è presidente del Comitato per il No per il referendum sulla riforma costituzionale