mercoledì 18 maggio 2016

La Stampa 18.5.16
“Ha ignorato i danni dell’Ilva”
Strasburgo processa l’Italia
Per i giudici le istituzioni non hanno protetto la salute dei cittadini
di Marco Zatterin

C’è un dubbio concreto, inevitabile avviare un altro processo. Pozzo senza fondo per denari pubblici e privati, l’Ilva si ritrova sempre più accerchiata a causa delle malefatte poco ecologiche. Nel giorno in cui s’inizia il processo ai vertici dell’azienda per disastro ambientale, la Repubblica Italiana finisce formalmente davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (nulla a che fare con l’Ue). L’accusa è non aver tutelato la salute dei tarantini dagli effetti negativi delle emissioni dell’impianto siderurgico. È un altro tassello del rompicapo giuridico che sorprende pochi. Del resto anche la Commissione europea aveva lanciato nel 2014 un’infrazione, proprio per grave inquinamento industriale, che sta per trasformarsi in deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione.
Storia lunga e tragica. A rivolgersi al Tribunale creato al Consiglio d’Europa, sono stati 182 cittadini del centro pugliese, nel 2013 e nel 2015. Sono quasi tutti congiunti e parenti di gente ammazzata dal tumori, o gravemente malata. Nella denuncia hanno scritto che «lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la loro salute, in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e del “dossier Sentieri”». Quest’ultimo, riferito al periodo 2003-2009, denunciava una mortalità per tumore a Taranto dell’11% superiore rispetto al resto della provincia.
I firmatari del ricorso rinfacciano al governo di aver autorizzato la continuazione delle attività del polo siderurgico attraverso i cosiddetti decreti «salva Ilva». Così facendo, sarebbe stato violato il «loro diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare», circostanza aggravata dal fatto che in Italia non possono beneficiare di alcun rimedio effettivo per vedersi riconoscere queste violazioni. La Corte di Strasburgo ha giudicato «molto forti» le prove presentate dai 182. Non è una circostanza automatica. Solo l’anno scorso i giudici di Strasburgo hanno dichiarato inammissibile il ricorso di una donna che sosteneva di essersi ammalata per colpa dell’Ilva. In quel caso, si decise di non aprire formalmente un fascicolo.
Il procedimento non potrà che complicare una vicenda già intricata. Il governo è sotto assedio perché cerca di mantenere in vita lo stabilimento, per difendere un pezzo di economia nazionale e i suoi posti di lavoro. Ma è anche contestato perché nel fare ciò perpetua una situazione ambientale drammatica. Ci vorrebbero soldi che non ci sono. Potrebbero arrivare se si riuscirà a vendere, come a Palazzo Chigi hanno promesso, entro giugno. Ma la transazione è complicata dall’inchiesta della Commissione Ue sui fondi pubblici mobilitati per fini ambientali e produttivi, capitali che per Bruxelles assomigliano a un aiuto di stato non accettabile.
L’inchiesta è stata appena ampliata. A Roma hanno detto di non essere sorpresi, ma ora devono trovare un modo per separare il vecchio dal nuovo, e cedere l’azienda senza che l’acquirente possa temere di dover rimborsare di tasca sua i soldi che fossero giudicati illegali dall’Ue. Intorno c’è il solito intreccio politico. I grillini contestano il governo per la mancata protezione die cittadini, i Verdi sono più attenti all’ambiente. Durissimo il vescovo di Taranto, Filippo Santoro, in un’intervista al Tg2000. «È un attacco formale allo Stato italiano - ha dichiarato - e ci si chiede se in questi anni, dal 2012 ad oggi, siano state portate avanti le bonifiche sul territorio: allo stesso tempo resta aperta la questione occupazionale».