Repubblica 18.5.16
Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del Board della Banca Centrale Europea
Sconto Ue sul deficit 26 miliardi in due anni “Fate di più nel 2017”
“È l’ultima concessione, giù il debito”
L’apertura Ue è frutto di un accordo tutto politico. Difficile ora risanare i conti continuando a crescere poco
intervista di Eugenio Occorsio
ROMA.
«L’apertura dell’Ue sulla flessibilità è frutto di un accordo tutto
politico, e in un’ottica politica va letta. È una lezione per chi accusa
i commissari di essere dei burocrati. Nel merito, il governo viene
messo alle strette dalla lettera firmata da Dombrovskis e Moscovici:
questa flessibilità è l’ultima che vi viene concessa». Lorenzo Bini
Smaghi, membro del board Bce fino al novembre 2001, non esulta per
l’accordo di Bruxelles. «I dati del primo trimestre confermano che
l’Italia non riesce a tenere il passo con l’Europa, e con questo fatto
dovremo confrontarci. Cominciare finalmente a tagliare il debito, come
ci dice chiaramente la Commissione, in presenza di una crescita così
asfittica, non sarà facile».
Sarà un’apertura politica, però nella
lettera la commissione enumera i fattori tecnici della flessibilità: le
clausole investimenti, rifugiati, sicurezza, riforme.
«Il fatto è
che la Commissione ha perso tempo di fronte alle successive richieste
italiane, lo 0,4% della primavera 2015, poi l’altro 0,4 in autunno. Nel
frattempo tutte le incomprensioni con il governo Renzi, e qualche
atteggiamento ondivago di Bruxelles. Alla resa dei conti la Ue ha
concesso tutto quello che poteva, grazie anche all’atteggiamento
costruttivo e alla mediazione di Padoan. Ma non va sottovalutato il tono
ultimativo della lettera, in cui la commissione chiede rassicurazioni
scritte che l’anno prossimo l’Italia eviterà la reiterazione di
richieste e afferma che è condizione ineliminabile la revoca della
clausola di salvaguardia per il 2017. Insomma ci chiede di non ripetere
l’esperienza di quest’anno. La flessibilità è una tantum, non
permanente».
Sullo sfondo intanto qualcosa sembra muoversi nella
politica tedesca, ovviamente decisiva negli orientamenti di Bruxelles,
in direzione che si allontana dall’austerity. Condivide
quest’impressione e come potrà questo fattore giocare nella vicenda che
ci riguarda?
«In effetti la domanda interna ha dato il principale
contributo all’economia tedesca che ha marciato a ritmi sostenuti nel
primo trimestre. Intanto ci sono stati importanti aumenti salariali che
sosterranno i consumi. Ma la possibilità della Germania di fungere da
locomotiva europea dipenderà dalla capacità degli altri Paesi di dare il
loro contributo in termini di riforme. Da noi, i regolamenti per la PA
vanno a rilento, sulla giustizia siamo in ritardo. Poi c’è la riduzione
del debito pubblico: il terzo Paese europeo con un debito superiore al
130% che non scende, rimane una fonte di preoccupazione per l’Europa e i
mercati. E dev’esserlo anche per noi. Nel 2017 dev’essere assolutamente
l’anno dell’inversione di tendenza. Il messaggio è chiaro: l’avete
rinviata troppe volte».
Schaeuble non perde occasione per
ricordarcelo a brutto muso, Weidmann è venuto anche a Roma per
spiegarcelo. A proposito: era una visita pre-elettorale in vista della
successione a Draghi?
«Macché, per Weidmann è un dovere
istituzionale venire a Roma a spiegare il suo punto di vista. Per la
presidenza della Bce mancano tre anni e i tedeschi non si fanno troppe
illusioni. Schaeuble invece ha un problema di carattere, è più
impulsivo. E poi è, lui sì, in campagna elettorale».