mercoledì 18 maggio 2016

Repubblica 18.5.16
Un anno perduto senza produttività
A Padoan un anno di tregua ma il rischio è la produttività
L’Istat ridimensiona la stima di aumento del Pil di quest’anno all’1,1 per cento Molte aziende decotte hanno continuato a sopravvivere. Serve una “finanza per la crescita”
di Ferdinando Giugliano

IL governo ha salutato con soddisfazione la decisione della Commissione Europea di concedere all’Italia un deficit di bilancio maggiore rispetto a quello che sarebbe stato previsto da una stretta applicazione delle regole. Al di là degli entusiasmi di giornata, però, il vero banco di prova per l’esecutivo riguarda il modo in cui esso saprà utilizzare i maggiori margini di manovra concessi. La crescita italiana resta infatti più lenta di quella di tanti altri Paesi dell’eurozona.
In assenza di un’accelerazione sarà difficile migliorare in maniera sostanziale la stabilità delle nostre finanze pubbliche.
Le previsioni prodotte ieri dall’Istituto Nazionale di Statistica confermano infatti che la nostra economia dovrebbe espandersi di appena l’1,1% quest’anno. La leggera ripresa dovrebbe essere trainata dalla domanda interna, mentre il valore delle nostre importazioni supererà quello delle esportazioni, frenando parzialmente la crescita. La questione centrale per l’economia italiana resta legata alla produttività. Come notato dall’Istat, l’Italia è l’unico tra i grandi Paesi dell’unione monetaria ad avere un livello di prodotto interno lordo per ora lavorata inferiore a quello raggiunto nel 2007.
«La produttività non è tutto, ma nel lungo periodo è quasi tutto», ha riassunto qualche anno fa il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman. E’ pertanto molto difficile immaginare che la cosiddetta “flessibilità” di bilancio concessa da Bruxelles all’Italia possa portare a una ripresa davvero sostenibile in assenza di un miglioramento dell’efficienza del nostro sistema produttivo.
Il primo nodo, sottolineato anche dall’Istat, riguarda gli investimenti in capitale fisico, la cui quota rispetto al Pil è scesa in Italia tra il 2009 e il 2015 di 3,5 punti percentuali. Nel resto della zona euro il calo è stato di appena 1,3 punti percentuali. Nel 2016 gli investimenti dovrebbero crescere del 2,7%, ma l’Istat nota come permangano rischi legati soprattutto all’andamento dell’economia mondiale. Il paradosso è che le politiche economiche attuate dal governo per rilanciare l’occupazione, come la decontribuzione dei nuovi contratti, potrebbero aver acuito il problema.
«Nell’ultimo anno l’aumento delle ore lavorate suggerisce una possibile ricomposizione dei fattori produttivi a favore dell’input di lavoro, agevolata anche dagli interventi di policy », scrivono gli autori delle previsioni. Se il recente calo della disoccupazione, che l’Istat prevede toccherà l’11,3% quest’anno, è un risultato positivo, il rischio è che gli incentivi riducano la spinta degli imprenditori ad acquistare nuovo capitale, con ricadute sulla produttività. Una soluzione sta nell’utilizzare le scarse risorse di bilancio disponibili per aumentare gli investimenti pubblici e continuare a incentivare quelli privati, come fatto per esempio con la norma sui maxi-ammortamenti per i nuovi beni strumentali. Queste risorse potrebbero esser liberate tagliando più marcatamente la spesa corrente.
L’altro tema riguarda la relativa allocazione del lavoro e del capitale. Come ipotizzato da Fadi Hassan e Gianmarco Ottaviano, due accademici, in un articolo per Vox, e dall’ufficio studi di Prometeia, una società di consulenza, durante la crisi in Italia lavoratori e risorse finanziarie non si sono ridistribuiti verso le aziende più produttive. L’assenza di quella che l’economista austriaco Joseph Schumpeter, ha chiamato “distruzione creativa” ha permesso a vere e proprie “imprese zombie” di sopravvivere, frenando la crescita della cosiddetta produttività totale dei fattori, una misura dell’efficienza complessiva dell’economia. In questo caso, la soluzione è duplice: da una parte bisogna permettere alle aziende più promettenti di crescere, come il governo si promette di fare attraverso le misure che andranno sotto il nome di “finanza per la crescita”. Dall’altra, è essenziale che le imprese meno efficienti non siano più tenute artificialmente in vita da un sistema bancario sclerotico e da un mercato dei prodotti ancora poco competitivo in diversi settori.
«Il prolungato periodo di crisi è stato caratterizzato da un marcato rallentamento del processo di accumulazione del capitale, con ripercussioni negative sul potenziale produttivo [...] e sulle prospettive di crescita del Paese nei prossimi anni», ha scritto nelle sue previsioni l’Istat. Le sfide per l’Italia vanno oltre le vittorie di ieri.