mercoledì 18 maggio 2016

Repubblica 18.5.16
La Chiesa coniugata al femminile
risponde Corrado Augias

GENTILE Augias, credo che anche un laico debba riconoscere l’opera di questo Papa per le pari opportunità. Se davvero si vuole portare avanti il dialogo e non la lotta tra uomini e donne, aprire loro le porte della Chiesa sarebbe un decisivo gesto di rinnovamento del messaggio cristiano e dell’intera sfera culturale. Nel 1950 Pio XII proclamò un dogma fondamentale con l’assunzione in cielo di Maria. Elevando la Beata Vergine al livello della Trinità, s’è formato un vertice teologico dove ha posto anche il femminile. Il dogma ha reso il cattolicesimo più avanzato rispetto ad altre confessioni. Invece, nella finitezza terrena dell’istituzione è presente solo il maschile. Come la legge cerca di produrre norme che seguano l’evoluzione della società, così forse potrebbe fare la Chiesa: prendere atto che la società è profondamente mutata nel vivere i ruoli di genere. Vedere una donna che celebra messa penso potrebbe portare valori aggiunti, maggiore serenità, dialogo e comprensione del messaggio d’amore cristiano.
Daniele Torreggiani — torreggiani.daniele@gmail.com

ROMPERE una tradizione di decine di secoli, pregiudizi radicati, diffidenze a suo tempo motivate dalla fisiologia femminile, è un’operazione ardua che richiede tenacia, lungimiranza, tempo. Papa Francesco ha fatto un primo passo incaricando una commissione di studiare la possibilità del diaconato femminile. Il diacono (la diacona?) è un consacrato possiamo dire di primo grado; donne diacono e perfino donne vescove, cioè responsabili di una comunità, erano presenti nel cristianesimo delle origini e sono esistite a lungo. Solo una diffidenza e una cautela di tipo sessuale ne ha cancellato i ruoli. È appena uscito un saggio di Lucetta Scaraffia (“Dall’ultimo banco” — Marsilio ed.) che ho avuto il piacere di prefare. La nota studiosa cattolica è stata ammessa nell’ottobre scorso a partecipare al sinodo dei vescovi sulla famiglia. Sedeva esattamente nell’ultimo banco della sala, donde il titolo. Nelle sue pagine richiama la circostanza che: «Il cristianesimo per primo ha proposto la parità spirituale tra donne e uomini, è la tradizione cristiana ad aver gettato il seme dell’emancipazione femminile in Occidente». Il tono del saggio-racconto della Scaraffia è vigoroso, non mancano i rimproveri. L’autrice accusa le gerarchie di organizzare convegni, anche di alto livello, caratterizzati da «vuoto di discussione e assenza di approfondimenti ». Insiste sul giovamento che un’apertura verso le donne, anche senza tirare in ballo il vero e proprio sacerdozio, potrebbe portare all’istituzione ecclesiastica. Fa notare come negli interventi svolti durante il sinodo si parlasse di una famiglia astratta, di problemi teologici che avrebbero interessato pochi, fuori di quell’aula. Fino a oggi sono stati fatti solo passi incerti in direzione di una minore disparità di genere. Papa Paolo VI (1963-1978) aveva aperto alle donne la possibilità di essere “uditrici” al Concilio Vaticano II; Giovanni Paolo II nella lettera apostolica «Mulieris dignitatem » (1988) aveva richiamato il “genio femminile” nella vita della Chiesa. Minime aperture, scarsi risultati. Ce la farà Francesco?