Repubblica 17.5.16
Rizzoli, croce e delizia di politici e capitalisti. Dall’Avvocato a Cuccia, da Craxi a Ciampi
Resa dei conti tra la Finanza laica e quella cattolica
di Alberto Statera
«Ascoltate
anche in futuro quello che vi propone il professor Bazoli per il
‘Corriere’», dispose Gianni Agnelli a Franzo Grande Stevens dopo un
incontro a villa Frescot con il banchiere a fine dicembre 2002, poche
settimane prima della morte dell’Avvocato. Passati quasi tre lustri, il
banchiere che creò quasi un successo edificando la prima banca del
Paese, ha dovuto subire il de profundis (almeno a parole) del
capitalismo di sistema e ridimensionare il suo ruolo. Ma soprattutto
disattendere il mandato morale dell’Avvocato per il “Corriere della
Sera”, croce e delizia del capitalismo italiano, 140 anni di storia,
icona della borghesia milanese e oggetto per decenni di appetiti,
scontri politici e finanziari, trappole evitate e subìte, come se tutto
tutto ruotasse intorno a questo eterno oggetto del desiderio. Bazoli
lascia suo malgrado alla Rizzoli-Rcs il disastro di una gestione
disattenta e improvvisata, azioni dissennate, che unite al declino del
settore e alla litigiosità degli azionisti (chi non ricorda gli insulti
tra Diego della Valle e John Elkann ?) hanno prodotto soltanto nei primi
tre mesi di quest’anno 22 milioni di perdite con un indebitamento
finanziario netto di 411 milioni, considerando la cessione della
Rizzoli- Libri.
Ma l’ultima raffica dei banchieri di sistema che
che per mezzo secolo ha fatto da balia pagante al capitalismo italiano
tra conflitti d’interesse, salotti buoni, affari opachi e politica, pare
non ci sia più insieme al capitalismo relazionale e quando c’era era
“contronatura”, come dice ora il capo di Mediobanca Alberto Nagel, tardo
epigono del capostipite dei banchieri di sistema Enrico Cuccia. Ecco
allora che per il “Corriere”, tra i debiti e gli azionisti rissosi,
spunta l’outsider, certo non un uomo dell’ establishment dai nobili
lombi, il quale propone senza troppi fronzoli la sua Ops al prezzo di
Borsa del giorno di lancio. Se non altro, lo stagno s’increspa. Si può
lasciar fare Cairo ? Andrea Bonomi, spalleggiato da Nagel, lancia un’Opa
a 0,70 per azione, con mezzi propri. Cairo e Bonomi, due personaggi e
due storie che più diverse non potrebbero essere. Il primo, nasce come
assistente di Berlusconi alla Fininvest, passa in Publitalia, alla
Mondadori Pubblicità, durante Tangentopoli patteggia 19 mesi per falso
in bilancio, ma oggi è bianco come un giglio. Compra il Torino Football
Club e nel 2013 si porta via La7 da Telecom per un milione di euro. Sul
rilancio dell’emittente i consensi sono quasi generali, un po’ meno sui
settimanali popolari che lancia di continuo. Bonomi è un po’ il suo
opposto: nato nel Sessantacinque a New York, studi in Francia, è nipote
di Anna Bonomi Bolchini, che negli anni Sessanta e Settanta a Milano si
fregiava del titolo “Lady Finanza”. Capo di un gruppo variegato con
tredici aziende e 5 miliardi di fatturato, possiede l’8,5 della Banca
Popolare di Milano, ma gli è sfuggito il controllo. Pare subisca assai
il fascino e i consigli di Alberto Nagel, che lo ha messo in campo
perché non voleva che la Popolare finisse in mani non gradite a
Mediobanca. Giusto per conservare almeno un po’ di capitalismo
“contronatura”.
Si legge nei Diari di Carlo Azeglio Ciampi al 12
settembre 1984: «Maccanico ha visto Cuccia che si interessa al Corriere.
Agnelli è disponibile ». L’Avvocato aveva detto sì a intervenire nella
Rizzoli per salvarla dal fallimento dopo le gesta della P2, di Gelli,
Ortolani, il Vaticano e il disastro del Banco Ambrosiano. Un’operazione
pazzesca, da certosini autoflagellanti. Il povero Cuccia dovette persino
subire nello studio di Piazza Duomo 19 una sfuriata di Bettino Craxi,
il quale pretendeva di essere lui a imporre i nuovi assetti.
Passati
trentadue anni chissà se i tempi sono veramente cambiati o chi tocca i
fili del “Corriere” rimane ancora folgorato. Certo, il mito dell’editore
“puro” rimane una chimera da coltivare per i postumi, visto ciò che sta
accadendo con le interferenze politiche specie nell’informazione
televisiva, imbottita di zelatori di questo o di quell’altro e soltanto
di qualche spirito libero che cerca di fare informazione.
Matteo
Renzi, in materia, si era presentato bene con uno dei suoi calembour:
«L’Italia è stata gestita da troppi patti di sindacato che in realtà
erano pacchi di sindacato ».
Sul “Corriere” ci aspettiamo di
vedere se per una volta prevale il mercato (oltre a progetti ragionevoli
e realizzabili) o il “pacco”.
L’attacco dell’outsider è spuntato tra azionisti rissosi e una gestione disattenta e improvvisata