martedì 17 maggio 2016

Repubblica 17.5.16
Il voto in due giorni sarebbe stato un ritorno al passato
La primavera del nervosismo tra città contese e referendum
di Stefano Folli

Per quarantotto ore la Roma politica è stata attraversata da una strana idea: tornare al passato e restituire ai cittadini la possibilità di votare in due giorni, la domenica e il lunedì mattina. Fino a qualche tempo fa la maratona delle urne era una peculiarità italiana (salvo l’India e pochi altri paesi in via di sviluppo), poi Enrico Letta l’aveva cancellata per uniformare il paese al resto d’Europa. Nella concitazione di questa primavera, a tre settimane dalle amministrative e a ben cinque mesi dal referendum costituzionale, il ritorno ai due giorni è sembrato l’uovo di Colombo per scoraggiare l’astensionismo e recuperare qualche consenso in chiave anti-Cinque Stelle. Fra l’altro, anche Forza Italia era a favore, convinta che il voto di lunedì le offrisse un vantaggio nella contesa con la Lega.
Ma l’operazione è risultata troppo contorta. La classica manovra in cui gli aspetti negativi superano i lati positivi. Inevitabili le polemiche, per via della palese contraddizione con le norme europee. E poi, la questione economica: molti milioni di euro aggiuntivi, quando uno dei temi del referendum costituzionale, da parte di chi propugna la riforma, consiste proprio nel risparmio per il contribuente. Invece la due giorni in giugno e in ottobre costerebbe assai più di quello che il nuovo quadro costituzionale farebbe risparmiare in un anno. Senza dire che il cambio in corsa, nell’imminenza del voto amministrativo e dopo che nel referendum delle trivelle si è votato solo la domenica, sarebbe stato interpretato come una prova di nervosismo del governo.
L’idea ieri sera è stata accantonata con un atto di saggezza. Non se ne parlerà più. Resta, viceversa, sul tavolo l’altra mossa del presidente del Consiglio: la volontà di modificare la strategia comunicativa in vista del referendum di ottobre. Non si può dargli torto, visto che la strategia precedente - ispirata al principio “o me o il caos” - non ha dato i risultati previsti. Può darsi che i sondaggi di cui si discute sul web non siano del tutto attendibili, ma l’impressione è che la campagna del Sì stenti a prendere quota, forse proprio a causa della tentazione plebiscitaria in cui è sembrato scivolare il premier.
Itoni sopra le righe, l’annuncio dei diecimila comitati, la promessa di un’azione di propaganda casa per casa - tutto in nome di un capo politico e del suo destino - rischiavano di irritare una parte considerevole dell’opinione pubblica, anziché spingerla a votare per la riforma. Conclusione: Renzi ha cambiato cavallo. La campagna sarà ugualmente capillare, ma adesso almeno Palazzo Chigi prova a cancellare l’impronta del plebiscito personale. L’inversione di marcia è brusca e persino temeraria, poiché nelle parole di Renzi é il “fronte del No” che viene accusato di “voler personalizzare lo scontro”. Il che è alquanto azzardato. Quel che conta, tuttavia, è lo sforzo di abbandonare la vecchia strada.
Dobbiamo immaginare che d’ora in poi si parlerà in modo pacato dei contenuti della riforma costituzionale? C’è da dubitarne. Prepariamoci a un’estate rovente, prima con le amministrative e poi con un referendum che inevitabilmente spacca il paese, come paventava Alfredo Reichlin su queste colonne. L’argomento di Renzi è diretto e brutale: gli oppositori della riforma sono dei “poltronisti”, difensori dei privilegi della casta politica e dei connessi sperperi. Com’era prevedibile, sarà questo il motivo conduttore della campagna. Gli altri risponderanno accusando il premier di voler svilire la democrazia e alterare l’equilibrio dei poteri con una riforma sbagliata. Difficile che in questo clima la personalizzazione del conflitto, in teoria sospinta fuori della porta, non rientri in fretta dalla finestra. La partita sarà quindi tra Renzi e il fronte variegato di chi dispone di due sole carte per frenarne il potere: il voto di giugno nelle città e quello di ottobre sulla Costituzione. Più il risultato del referendum sarà in bilico, più gli accenti si faranno incandescenti. Di certo si può dire che nessuno oggi è sicuro della vittoria finale.
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Renzi ha deciso di cambiare la strategia per la resa dei conti di ottobre Palazzo Chigi vuole cancellare l’impronta del plebiscito personale