domenica 15 maggio 2016

Repubblica 15.5.16
La lezione di Parma tocca anche il Pd
di Stefano Folli

IL CORTOCIRCUITO dei Cinque Stelle sembra concepito da un mago dispettoso per dimostrare al di là di ogni dubbio che il partito di Grillo non offre garanzie come forza di governo e quindi è un fenomeno incompiuto: va bene per raccogliere il malcontento popolare, fallisce quando gli si chiede maturità istituzionale.
Gli ingredienti del paradigma in apparenza ci sono tutti: una struttura gerarchica e addirittura dinastica (il giovane Casaleggio che comanda in quanto figlio di suo padre); il rapporto ambiguo fra gli eletti e un vertice tanto centralizzato quanto opaco (lo “staff di Grillo”); la fragilità delle figure emergenti, vedi Di Maio, costrette ad adeguarsi ai voleri dell’entità suprema senza mai dare l’impressione di esercitare una leadership. Aggiungiamo la cacciata del sindaco di Parma - peraltro reticente sull’avviso di garanzia - in quanto “grillino” dissidente già da tempo messo ai margini e il quadro è completo. Gli ottimisti ne ricavano la lezione che il centrosinistra di Renzi si trova nella rara condizione di non avere rivali né oppositori: lacerato e in crisi perenne d’identità il centrodestra berlusconiano, o quel che ne resta; poco credibile e folgorato dai suoi stessi errori l’esercito del comico genovese. La strada, in teoria, dovrebbe essere spianata. Ma sembra tutto un po’ troppo facile.
In primo luogo, non sappiamo quali saranno gli effetti dei casi Pizzarotti e Nogarin sul consenso dei Cinque Stelle. Ciò che sembra intollerabile a molti osservatori, in passato ha lasciato indifferente l’opinione pubblica. In due anni le espulsioni e le decisioni arbitrarie si sono susseguite, ma i sondaggi continuano a essere positivi per Grillo e i suoi sudditi. L’ultima indagine dell’istituto Demopolis, effettuata prima di Parma, dava il M5S al 28 per cento. È il segno che una larga parte dell’elettorato vuole credere comunque in un’alternativa al governo. Vota “contro” raccogliendo la spinta anti-sistema del grillismo prima maniera. I fallimenti, le incongruenze e i limiti dei Cinque Stelle non hanno finora inciso su questa scelta.
Da cosa dipende? Probabilmente dal grado di malessere diffuso e dal fatto che il partito di governo, il Pd di Renzi, non è in grado di riassorbire la protesta. Gli stessi sondaggi indicano il voto al Pd fra il 31 e il 32 per cento, talvolta con punte verso il 33 ma non oltre. Vuol dire che il renzismo è bloccato sulla soglia che era all’incirca quella di Veltroni. Non si è verificato fino a oggi lo sfondamento sul versante del centrodestra, nonostante la crisi del mondo berlusconiano; e nemmeno il recupero del voto “grillino”, benché di tanto in tanto il premier indulga ai toni populisti. Peraltro le inchieste della magistratura, come è noto, hanno colpito con asprezza il Pd.
Sul piano quantitativo, non c’è paragone con i problemi che hanno coinvolto gli amministratori “grillini”. Sul piano dei principi, certo, la difficoltà dei Cinque Stelle è evidente, essendo ormai incrinato il mito della purezza assoluta. Tuttavia gli elettori Cinque Stelle delusi (e ce ne sono, se non altro per il differente trattamento riservato a Pizzarotti rispetto a Nogarin), non sembrano affatto attratti dal partito di Renzi. Ragione di più per osservare la campagna elettorale di Roma, la piazza dove la candidata di Grillo è accreditata per la vittoria. Ed è ovviamente una candidata ortodossa rispetto alle vicende di Parma. Se la Raggi dovesse scivolare, allora si potrà parlare di involuzione per il M5S; viceversa, una vittoria in riva al Tevere vorrebbe dire che nell’opinione pubblica la confusa spinta verso un’alternativa è più forte di tutte le riserve che il movimento di Grillo autorizza.
Non sarebbe un bel segnale per il governo, sia in vista del referendum di ottobre sia delle successive elezioni con l’Italicum. Del resto, all’elettorato dei Cinque Stelle occorre aggiungere quello di Salvini, più la quota di Fratelli d’Italia, un po’ di berlusconiani intransigenti e forse anche un segmento dell’estrema sinistra che rifiuta Renzi (e accusa il Pd di essersi comportato a Roma con Marino come Grillo a Parma con il sindaco ribelle). È l’arcipelago del rancore. Tutti insieme non fanno una proposta di governo, ma potrebbero costituire un’insidiosa coalizione di fatto.