Repubblica 14.5.16
Il vento e la brezza
di Ferdinando Giugliano
Non
si può valutare l’effettiva rapidità di un veliero ignorando le
condizioni del vento. Lo stesso principio si applica anche all’economia:
la leggera accelerazione registrata dall’Italia a inizio anno va
confrontata con il più deciso allungo segnato dal resto della zona euro.
I nostri progressi, per quanto incoraggianti, sono ben inferiori
rispetto a quanto sarebbe lecito aspettarsi.
Nei primi tre mesi
del 2016, il prodotto interno lordo italiano è cresciuto dello 0,3%
rispetto all’ultimo trimestre dello scorso anno. Francia, Germania e
Spagna, che condividono con noi valuta e banca centrale, hanno invece
visto le loro economie espandersi, rispettivamente dello 0,5%, 0,7% e
0,8%. L’eurozona nel suo complesso è cresciuta dello 0,5%, risalendo per
la prima volta sopra il livello di Pil toccato in precedenza della
crisi.
Il ritrovato sprint dell’unione monetaria ha delle ragioni
esogene. La tanto temuta deflazione, che vede i prezzi diminuire a causa
del crollo del costo del petrolio, continua a spingere i consumi
europei grazie all’aumento del potere d’acquisto. Le aziende sembrano
aver ripreso un po’ di fiducia nel futuro: in Germania gli investimenti
sono ripartiti, e qualche timido segnale positivo arriva anche dalla
Francia.
La ripresa di consumi e investimenti, agevolati dalla
politica monetaria non convenzionale della Banca Centrale Europea e da
una politica fiscale più espansiva, riesce così a compensare le
difficoltà dell’export. L’apprezzamento dell’euro insieme alle
difficoltà dei mercati emergenti quali Russia e Brasile stanno frenando
la domanda straniera per le merci europee, incluse quelle tedesche che
per anni hanno beneficiato di un cambio molto favorevole.
La
crescita della domanda interna nell’eurozona e in Germania in
particolare, è una buona notizia. Dai ristoranti gardesani alle aziende
della componentistica meccanica, molti lavoratori italiani dipendono
dalla prosperità teutonica. L’accordo raggiunto ieri tra il sindacato
dei metalmeccanici tedeschi, IG Metal, e i datori di lavoro per un
aumento delle retribuzioni del 4,8% per 21 mesi (ben oltre, dunque, il
tasso d’inflazione) fa sperare in una stagione di redditi e consumi più
alti, dopo anni di eccessiva compressione salariale.
L’accelerazione
dei nostri partner non può, però, essere soltanto festeggiata. La
domanda che il nostro governo deve porsi è perché, alla luce di una
congiuntura economica piuttosto favorevole, la barca Italia si comporti
come se ci fosse soltanto una brezza. La questione è tanto più rilevante
perché il presidente del consiglio Matteo Renzi ha deciso di sfruttare
al massimo la flessibilità concessa dall’Unione Europea per ridurre più
lentamente il nostro disavanzo pubblico e finanziare tagli delle tasse e
bonus fiscali. Il successo di questa strategia dipende anche dalla
velocità di crociera che ci fa raggiungere.
Il vero problema è che
l’Italia resta ancora indietro per quanto riguarda la crescita della
produttività, il vero motore alla base dello sviluppo economico di lungo
periodo. I dati Eurostat mostrano come, tra il 2010 e il 2015, il
prodotto per ora lavorata sia cresciuto in Spagna e in Germania del 6,5%
e del 4,2% rispettivamente. In Italia, dello 0,5% appena.
Nonostante
l’iperattivismo mostrato in altri contesti, Renzi è ancora troppo
timido nell’affrontare questo nodo. Dopo il “Jobs Act”, che dovrebbe
migliorare l’efficienza del mercato del lavoro permettendo alle aziende
di scegliere con meno rischi il personale, l’azione riformatrice del
governo è rallentata. Per esempio, la legge annuale sulla concorrenza,
che dovrebbe lubrificare il mercato dei prodotti, è stata svuotata dei
provvedimenti più efficaci, cedendo alle pressioni delle aziende
dominanti.
Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia, Tommaso
Nannicini, sottosegretario alla presidenza del consiglio, e Carlo
Calenda, da poco ministro dello Sviluppo economico sono i capi-cantiere
che dovrebbero rimettere a posto scafi e vele. In queste settimane, il
governo sta lavorando a misure volte ad aiutare le aziende a trovare i
capitali per crescere, per esempio incentivando fiscalmente gli
investimenti da parte dei risparmiatori privati. L’obiettivo è
permettere agli imprenditori di raggiungere le economie di scala
necessarie per aumentare l’efficienza aziendale.
Queste misure
sono un passo nella giusta direzione, ma vanno affiancate ad altre che
rendano i mercati maggiormente contendibili e aiutino i salari ad essere
in linea con la produttività. La riforma della contrattazione, ora
nelle mani di sindacati e aziende, non può essere rimandata oltre tempo.
In
economia, come in mare, il tempo può mutare repentinamente. Tra un mese
e mezzo la Gran Bretagna potrebbe votare per uscire dall’Ue, provocando
sconquassi sui mercati. In Italia, i crediti deteriorati e i bassi
margini di profitto continuano a porre le nostre banche in condizioni
precarie, che permangono nonostante la creazione del fondo Atlante.
Davanti
a questi rischi, non ci si può permettere pause. Da ex sindaco di
Firenze, Renzi conosce bene lo stemma mediceo della tartaruga con la
vela che decora le sale di Palazzo Vecchio. La prudenza in politica è
una virtù, ma va accompagnata da forza d’azione, prima che cali il
vento.