Repubblica 14.5.16
“In classe tutto giugno” l’appello di tremila mamme e papà
Allungamento dell’anno scolastico e vacanze estive più corte. Gli insegnanti: “Non siamo baby sitter”
L’Italia è tra i paesi europei che concede la sosta più lunga: 12-13 settimane
di Ilaria Venturi
BOLOGNA.
È bastato un appello online di una mamma di Pavullo, 17mila abitanti
sull’Appennino modenese, a scatenare il dibattito nazionale. «Scuole
primarie aperte almeno sino al 30 giugno », la richiesta di Alberta
Alessi, 32 anni e tre figli, al ministro Stefania Giannini. In pochi
giorni sono arrivate oltre tremila firme a sostegno e si è riaperta la
discussione su un tema molto sentito dai genitori ogni anno alle prese
coi loro “cento giorni” senza scuola: dai primi di giugno a metà
settembre. Bambini in classe anche in estate, dunque. L’appello dei
genitori emiliani a rivedere il calendario scolastico tocca un nervo
scoperto. Da una parte le famiglie in corsa per “coprire” il lungo tempo
libero dei figli tra ferie, nonni e centri estivi, comunali e privati, a
pagamento. Dall’altra gli insegnanti, con stipendi bloccati e al di
sotto della media europea, che reagiscono: «Non siamo baby sitter, la
scuola non è un parcheggio».
Proprio nei giorni scorsi il ministro
Giannini ha presentato il progetto “Scuole al centro” contro il degrado
nei grandi centri urbani: 10 milioni per tenere aperti quest’estate 700
istituti nelle periferie di Napoli, Roma, Palermo e Milano. «Un
progetto solido che ha dietro finanziamenti e una precisa idea di
scuola», ha ribadito ieri dal Giappone. «Una scuola che si apre e si
adegua al territorio, che è punto di riferimento delle comunità». A
settembre saranno coinvolte altre 5mila scuole di tutto il paese, spiega
la senatrice Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd, che
caldeggia l’apertura estiva. «Sarà possibile grazie a questi fondi, ma
anche a quelli europei, coinvolgendo gli insegnanti e le associazioni
del territorio». Non un doposcuola, precisa Stefania Giannini, «ma, a
partire dai contesti più complessi, una vera alternativa alla strada,
alla dispersione ».
Una scommessa non semplice. Solo a Bologna,
dove una scuola media per ogni quartiere accoglie i ragazzini per tre
settimane in estate, il Comune è impegnato in un durissimo braccio di
ferro coi sindacati sull’apertura delle materne comunali anche a luglio.
Eppure da Milano a Palermo, dove l’iniziativa “Il tempo d’estate”
prosegue a singhiozzo per mancanza di fondi, non mancano le esperienze.
«Il mondo è cambiato, da una parte ci sono i maestri che fanno il lavoro
più importante al mondo, dall’altra le nostre esigenze di genitori e di
mamme che lavorano: io chiedo solo che si ci venga incontro. Non
lezioni, ma almeno attività ludico educative. Almeno a giugno»,
l’appello di Alberta Alessi. «L’alternativa sono i centri estivi. Ma
hanno un costo che non sempre le famiglie, con più figli, riescono a
sostenere».
A Milano c’è un ufficio ad hoc dedicato alle scuole
aperte, anche d’estate. «Sono un enorme patrimonio poco utilizzato»,
dichiara Chiara Bisconti, assessore comunale al Benessere. Il direttore
dell’ufficio scolastico dell’Emilia Romagna Stefano Versari concorda:
«Scuole aperte, sempre. Ma non per proseguire l’insegnamento
curriculare». In Europa a fare la differenza sono le pause durante
l’anno che la maggior parte degli altri Paesi hanno e che usano per poi
accorciare le vacanze estive. Quest’anno i bambini in Francia sono
andati a scuola il primo settembre e finiranno il 5 luglio. I norvegesi
hanno cominciato tra il 17 e il 21 agosto per stare tra i banchi sino al
17-23 giugno. Nei Paesi Bassi staccano dal 15 luglio al 17 agosto.
L’Italia, con Portogallo e Irlanda, è fanalino di coda: concede 12-13
settimane di vacanze. La sosta più lunga. Non che si facciano meno
giorni di lezione e nemmeno che gli insegnanti stiano in vacanza per tre
mesi (hanno 36 giorni di ferie all’anno). Ma la richiesta di un ritocco
al calendario, per allungarlo in estate, cresce. «L’idea di principio è
giusta: tenere le scuole aperte come servizio sociale oltre che
educativo», dice Giorgio Rembado, voce dell’Associazione nazionale
presidi. «Però ci vogliono le risorse per farlo».
(ha collaborato Salvo Intravaia)