Repubblica 14.5.16
Cattolici e laici per un nuovo patto
di Agostino Giovagnoli
«HO
giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo», ha ricordato Matteo
Renzi. Con lo stesso giuramento, però, si è anche impegnato «ad
esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo della nazione ». E
nazione vuol dire tante forze diverse e tanti settori differenti che
trovano la loro unità in una volontà comune e in un futuro condiviso,
come scriveva Ernest Renan. È in questo spirito che, nel marzo 1947,
Alcide De Gasperi intervenne in Assemblea costituente per sostenere che
la Chiesa doveva impegnare i vescovi a giurare fedeltà alla Repubblica e
a seguire «la legge costituzionale dello Stato». «Non siamo in Italia
così solidificati, così cristallizzati nella forma del regime da poter
rinunziare con troppa generosità a simili impegni così solennemente
presi ». Aggiunse però: «alla lealtà della Chiesa io credo che la
Repubblica debba rispondere con lealtà».
De Gasperi temeva
contraddizioni o conflitti laceranti per la duplice appartenenza del
cittadino credente alla Chiesa e allo Stato e per la sua duplice fedeltà
al Vangelo e alla Costituzione. Cercava perciò — uomo di profonda
spiritualità, ma anche con grande senso storico — la conciliazione tra
Chiesa e Stato soprattutto negli impegni concreti degli uomini. Credeva
poco, infatti, nei principi astratti o in compromessi giuridici, cui
cedettero invece Pio XI e Mussolini quando stipularono i Patti
Lateranensi nel 1929 e a cui si affidarono ancora Pio XII e Dossetti per
confermarli attraverso l’art. 7 della Costituzione. Non lo spingeva una
logica confessionale in difesa dei principi o degli interessi
cattolici, ma una preoccupazione laica per lo Stato. È il sentimento di
fondo che ha animato l’impegno complessivo dei cattolici nella stesura
della Costituzione che, prima ancora di essere stata un compromesso
sulle parole o sulle formule, è stata il frutto di un eccezionale sforzo
costituente animato dall’incontro tra le grandi forze popolari. È
questa la preoccupazione che ha ispirato costituzionalisti cattolici
come Mortati e Tosato, loro eredi illustri come Leopoldo Elia, e che
ispira anche oggi tanti cattolici mentre si interrogano sulla riforma
costituzionale. Proprio la larga condivisione del patto costituente,
infatti, ha reso per decenni la Costituzione un riferimento fondamentale
per tutti.
Ricordando di aver giurato fedeltà alla Costituzione,
Renzi ha risposto a quelli che oggi minacciano il referendum sulle
unioni civili o che vorrebbero bocciare la riforma costituzionale per
ritorsione contro queste unioni. Sono i nostalgici dei “valori non
negoziabili”, che nella Chiesa di papa Francesco hanno perso importanti
sponde ecclesiastiche (anche se non tutte). Ma questioni più profonde
vengono oggi sollevate soprattutto da uomini e donne che non sono
lontani da Renzi e che vengono dalla sua stessa tradizione religiosa e
culturale. Molti di questi ne apprezzano tante iniziative e
l’orientamento di fondo. Sono però pure preoccupati non solo per
questioni di merito — dal disinteresse per le autonomie locali
all’ostilità verso i corpi intermedi — ma anche di metodo. Si può
cambiare profondamente la Costituzione senza un ampio accordo
costituente tra forze diverse? E si può trasformare l’esame di una
materia così complessa in un plebiscito pro o contro chi governa?
La
situazione in cui ci troviamo non è stata creata da Renzi, ma dalla
logica del bipolarismo conflittuale di cui Berlusconi è stato il
principale benché non unico responsabile. Nella Seconda Repubblica, la
spinta divisiva si è estesa anche sul terreno costituzionale, come
mostrano il fallimento della Commissione bicamerale per le riforme,
voluto dal centro-destra (1998); le modifiche del titolo V, approvate
dal solo centro-sinistra (2001); l’ampia riforma costituzionale, votata
dal solo centro-destra (2005) e poi bocciata dal referendum confermativo
(2006); la nuova riforma costituzionale approvata dal solo
centro-sinistra (2016). Intanto, sotto la spinta dell’antipolitica, lo
strumento del referendum da quesito sul merito di una specifica legge si
è trasformato sempre più in mezzo per mettere in difficoltà chi
governa. Matteo Renzi non è responsabile di tutto questo e ha cercato di
superare le trappole della contrapposizione esasperata, con scelte
audaci come il patto del Nazareno, che gli ha attirato tante critiche.
Ma poi è stato spinto anche lui verso una riforma costituzionale a
maggioranza. Una scelta legittima, forse necessaria, ma certamente senza
la forza di un nuovo patto costituente. È probabile che, comunque vada,
il prossimo referendum non costituirà l’ultima parola: dopo, ci sarà da
riprendere uno sforzo forse ancora più decisivo, per un nuovo patto
costituente condiviso da forze, culture e identità diverse.