Repubblica 13.5.16
L’istinto dei cattolici in difesa dei valori della Costituzione
Il via libera di vescovi condizionato all’idea che non si risolva tutto in un plebiscito a favore o contro il governo
Nel
cattolicesimo italiano c’è una sorta di “istinto materno” a tutelare i
capisaldi costituzionali Non si tratta di un voto favorevole o contrario
a Renzi ma di ricostruire la cultura politica del Paese
di Alberto Melloni
CHI
conosce l’Italia sa che nell’esito del referendum di ottobre la
posizione della chiesa cattolica sarà specifico e decisivo. E con
tempismo perfetto – prima delle amministrative, prima della assemblea
della Cei – un articolo di “Civiltà Cattolica” in uscita domani la
preannuncia con lucidità e senso della misura: ed è un “sì, ma”.
Un
sì che farà storcere il naso a chi dimentica che Dossetti stesso,
battendosi da vecchio monaco contro la riforma berlusconiana, parlava di
“difesa e sviluppo” della Costituzione. Un “ma” che spiacerà a chi
considera quella congiunzione il verso dei gufi o una forma di
turpiloquio intellettualistico.
Frutto certo dell’equilibrio
dell’autore, padre Francesco Occhetta, l’articolo della “Civiltà
Cattolica” è però espressione della Segreteria di Stato vaticana: che,
come sempre, rilegge e corregge le bozze della rivista dei gesuiti,
dandole un carattere di semiufficialità intelligente. E tocca un nodo
del passato e del futuro.
Nel referendum costituzionale infatti,
il cattolicesimo si comporta in modo diverso rispetto a ciò che accade
nelle elezioni politiche. Nonostante miraggi e leggende demoscopiche,
dal 1948 in qua al voto politico le mille voci della chiesa esprimono il
Paese e i suoi laceranti integrismi, molto più di quanto non li
guidino. Quando si parla della Costituzione, invece il cattolicesimo
italiano e le sue mille facce convergono in una specie di “istinto
materno”: quello che faceva di Arrigo Miglio un eretico e dei grandi
giuristi cattolici che si sono succeduti alla Corte Costituzionale una
specie di dinastia.
Ciò è tanto vero che il disegno politico del
cardinale Ruini, per dar coesione ad un centro- destra che aveva già in
sé tutte le frammentazioni che l’hanno ora polverizzato, usava i famosi
temi etici “non negoziabili”: ma sulla costituzione si limitava ad
offrire un assordante e assurdo silenzio. Niente più. Il silenzio nel
quale s’è consumato lo scempio del Titolo V° e la tentata Riforma
Berlusconi, naufragata sul referendum del giugno 2006 perché costituiva
una demolizione della Carta contro la quale non un episcopato afono, ma
l’istinto cattolico, giocò un ruolo decisivo.
La Riforma Boschi
non tocca i capisaldi della Costituzione e non ridesta l’“istinto”.
Però, nel momento in cui Matteo Renzi intesta il referendum ad un
governo che ha fatto dei corpi intermedi – che sono un caposaldo –
qualcosa da abbattere, che “l’istinto materno” per la Costituzione possa
scattare c’è, eccome. E lo dimostra una serie di importanti
aggregazioni per il “no” con una componente cattolica rilevante.
“Civiltà
Cattolica” e tramite essa la Santa Sede, intervengono mostrando i
rischi. Usano e quasi suggeriscono uno stile argomentativo (“mai negherà
la ragionevalezza della tesi opposta”) che ricorda quella di Dossetti
ai tempi del referendum istituzionale del 2 giugno 1946: non
disconoscere le buone ragioni della monarchia, ma mostrare l’eccedenza
relativa di quelle della Repubblica, con la coscienza di aver comunque
destino comune.
Così padre Occhetta spiega infatti le ragioni
della riforma: e quando riconosce in esse un intento di “sviluppo” (la
parola chiave del dossettismo anni Novanta non è usata a caso) fa una
grande apertura di credito. Ciò non toglie l’elencazione flemmatica dei
legami intellettuali delle riforma coi referendum Segni, le pecche del
testo, le lacune e le omissioni che rendono la riforma “reformanda”. Ma
quando suggerisce di entrare nel “merito” (la stessa cosa che aveva
fatto mons. Galantino per il referendum di maggio, guarda caso...) apre
una porta.
Ai vescovi offre di varcarla per trovare un punto di
unità. Negli anni scorsi i presuli italiani hanno vissuto il travaglio
politico del paese divisi: i meno lucidi sul piano intellettuale e
spirituale rimpiangevano Ruini; i più santi e i più scaltri avevano
trovato una soluzione – mimare Napolitano – che si era rivelata
infallibile. La proposta fatta loro dalle colonne della rivista gesuita
nella decisiva partita referendaria è la “imitatio Mattarellae”:
allinearsi al Capo dello Stato e concedere tutto ciò che lui concede.
Al
governo offre una soluzione o forse un patto: togliere di mezzo l’idea
del plebiscito. “Non si tratta di un voto favorevole o contrario al
Governo” dice Occhetta: e chiede di fare dell’appuntamento referendario
una “occasione per rifondare intorno alla Costituzione la cultura
politica del Paese”. Attenzione: non “alla riforma”, elevata a
spartiacque di una cosmogonia, ma attorno “alla Costituzione”. Da qui si
deciderà non il “gioco”; le istituzioni non sono come il calcetto, dove
anche un brocco può trovare un tiro imparabile. Sono un gioco deciso
dalla “qualità dei giocatori” “Su questo versante non è data alcuna
garanzia” scrive sul finale la “Civiltà Cattolica”. E ha ragione. La
delicatezza della situazione internazionale ed europea espone molto un
paese piccolo e fragile come il nostro: in passato chi voleva ricondurlo
all’ordine tramite il disordine usava uno di questi tre pulsanti: la
violenza, la finanza, la magistratura. I pulsanti sono ancora lì,
ottobre è lontano.