venerdì 13 maggio 2016

Repubblica 13.5.16
Le voci dell’islam “Questa Europa ci ha abbandonato”
Viaggio tra gli scrittori musulmani ospiti al Lingotto “Siamo invisibili tra regimi autoritari e indifferenza”
di Simonetta Fiori

TORINO L’Europa non c’è più. L’Europa è traditrice. Dov’è finita la patria dell’illuminismo che oggi soffoca i diritti sotto i muri e le barriere? Visti da qui, dal Salone delle culture arabe, non facciamo una gran bella figura. «L’Europa vacilla perché si fa le domande sbagliate», dice Yasmina Khadra, lo scrittore algerino che vive da tanti anni a Parigi. Sta arrivando a Torino per parlare dell’“Attentato” (Sellerio), un romanzo sulle paranoie che il terrorismo genera quando diventa orrore quotidiano. «Certo i tempi sono duri: crisi finanziaria, esodi massicci, ascesa dell’estrema destra. Ma le grandi
nazioni si riconoscono nella difficoltà. È tempo che l’Europa recuperi la sua lucidità, il suo talento e il suo discernimento». Nella hall del Lingotto è già arrivato Boualem Sansal, il più autocritico tra gli intellettuali musulmani, anche lui algerino, l’artefice del potente affresco su un futuro teocratico e totalitario ( 2084. La fine del mondo, Neri Pozza). «Ho l’impressione che l’Europa non capisca granché del mondo. Ha l’aria di pensare che tutto il globo debba rassomigliarle, ma il mondo è quello che è», dice mantenendosi sul piano del ragionamento pacato. Insomma l’Europa come «un colosso dai piedi d’argilla». Più tardi la furia polemica lo porterà a dire che è in atto una «islamizzazione seppure non violenta: ne è un esempio l’elezione a Londra di un sindaco musulmano». Voglia di riflettori accesi?
Fragile e appannato appare il Vecchio Continente nello sguardo di chi è stato accolto e poi deluso. Ed è un bel cambio di passo quello del Salone che apre alle letterature arabe, sostituendo al criterio geopolitico quello geoculturale. Il pubblico sembra rispondere, disponendosi in fila davanti agli ingressi quest’anno per la prima volta provvisti di metal detector. Il paese ospite non è più l’Arabia Saudita, scelta contestata per la natura illiberale di quel regime, «ma una patria culturale che non è piegata alle censure», raccontano le arabiste Paola Caridi e Lucia Sorbera, artefici della svolta. Scrittori, poeti, disegnatori, saggisti che vengono dai paesi più diversi e sono voci della dissidenza, dell’esilio e della migrazione. E che rischiano una duplice mortificazione, «il soffocamento da parte dei regimi autoritari e l’indifferenza dell’Occidente, che trascura e dunque rende invisibili le società civili arabe». E dimentica chi giace in galera con l’unica colpa di aver scritto un romanzo. Quaderni dal carcere arabo è il titolo della serata che sarà dedicata agli assenti, alle pagine censurate, alle libertà spezzate. Agli scrittori imprigionati e ai romanzieri a cui è negata la libertà di muoversi nel mondo. È questo il caso del giornalista saudita Abdo Khal che in Le scintille dell’inferno ha messo a nudo gli squilibri e gli eccessi d’una ricchezza senza limiti (vietato in patria, il romanzo è pubblicato in Italia da Atmosphere). Lo scrittore egiziano Ahmed Nàgi è stato condannato dal tribunale egiziano a due anni di prigione “per offesa alla morale pubblica”: il capitolo incriminato è il numero sei di Vita: istruzioni per l’uso (editore Il Sirente), cronache sentimentali che farebbero sorridere i maestri di letteratura erotica. Condanna ancora più severa — cinque anni — per Ala Abd El Fattah, uno dei primi blogger dal mondo arabo ora in carcere per aver difeso la libertà d’espressione. «Faremo leggere le loro pagine dagli scrittori italiani, perché non ci sia separazione tra i due mondi», dice Caridi.
Indifferenza ed estraneità: è anche questo il tradimento dell’Europa. «Ci si può definire democratici ed eredi dell’Illuminismo, guardiani della libertà di espressione, e ignorare completamente il massacri in Siria? I morti siriani sono soltanto numeri», denuncia Shady Hamadi, che conosce la sofferenza dell’esilio per esservi nato. Ventotto anni, Shady è figlio di padre musulmano siriano e di madre cristiana italiana. Per lui lo scontro di civiltà è lacerazione della doppia radice, come scrive anche nel suo ultimo Esilio dalla Siria (Add editore). «Dei nostri morti non sapete i nomi e non conoscete i volti. Perché provare dolore davanti al Bataclan e ignorare l’attentato a Beirut?» È lo «sdegno selettivo», così lo definisce Khadra, un sentimento intermittente «che mobilita il mondo intero quando la disgrazia colpisce l’Occidente e riduce l’orrore in Africa e in Asia a fatto di cronaca». Criticano tutti l’Europa ma da posi- zioni molto diverse. E la varietà delle critiche dipende anche dal diverso rapporto con l’Islam. «Mi accusano di islamofobia ma io non posso farci niente», dice Sansal con aria sapienziale. «Premesso che sono musulmano, figlio di musulmani e vivo in un paese musulmano, mi permetto di dire che l’Islam è una religione difficile da vivere, molto dura, che impedisce alla popolazione di entrare nella modernità e nella democrazia. Però siamo davanti a un paradosso: l’Europa è diventata la custode dell’Islam. Lo dico da scrittore: è più facile criticare l’Islam nel mondo musulmano che nei vostri paesi. Perché sappiamo che l’Europa ha i suoi problemi con le comunità islamiche e non pochi interessi con l’Arabia Saudita, il Qatar, la mia Algeria. Così si mette a camminare sulle uova: ma la riforma dell’Islam o la si fa in Europa o dove altrimenti?» Pochi metri più in là è il giovane Shady Hamadi, che guarda a Samsal come un alleato degli imprenditori d’odio numerosi in Europa: «Intellettuali come lui e come anche Adonis tendono ad accreditare una raffigurazione stereotipata dell’Islam che non fa bene al pubblico occidentale. Non capiscono che il terrorismo islamico si combatte comprendendo le ragioni del disagio, non liquidando la religione come fonte di tutti i guai». Anche il connazionale Khadra è piuttosto scettico: «Boualem è un romanziere ed è libero di scrivere quello che vuole, ma sbaglierebbe a prendersi troppo sul serio. Crede nel trionfo delle forze oscure, io credo fermamente nella vittoria del buon senso». L’Europa ha bisogno di un rinnovato umanesimo. L’appello di papa Francesco sembra toccare le corde più profonde delle voci arabe. «Papa Francesco ha capito: non si può amare Dio senza amare l’uomo. Il suo discorso è un appello alla fraternità», dice Khadra. «C’è qualcosa in lui che fa pensare a Cristo stesso». Un umanesimo «aperto, inclusivo, che si faccia carico del dolore di chi vive dall’altra parte del mondo», incalza l’egiziana May Telmissany. Siamo davanti a «un nuovo fascismo», così lo definisce Tahar Ben Jelloun, che va combattuto ovunque, in Europa come negli Stati Uniti. Bisogna creare ponti, anche attraverso il cibo: è il monito che arriva da Soup for Syria, un manuale di “ricette per la pace e la condivisione” realizzato per fini umanitari da Barbara Abdeni Massaad (EDT). Perché il mondo non appartiene più a noi ma ai nostri figli, ricorda Khadra: «Cerchiamo di tramandare un pezzetto di paradiso, visto che noi abbiamo conosciuto l’inferno e i suoi rimorsi».