Repubblica 13.5.16
Angelo Pezzana, fondatore del “Fuori!”, primo nucleo organizzato dei gay in Italia
“Ricordo ancora quando il professore mi avvertiva: non dire che sei gay”
I
ricordi dello storico leader del movimento degli omosessuali: “Capii
che stavamo incidendo quando Tognazzi mi fece vedere Il Vizietto”
di Paolo Griseri
TORINO.
Il professore era stato affabile, un ottimo anfitrione. Un docente
universitario torinese iscritto al Pci, come molti in quell’alba degli
anni Settanta. Sull’uscio, al momento del congedo, aveva dato un ultimo
consiglio al suo giovane ospite: «Angelo, dammi retta, pensaci bene.
Quest’idea di rendere pubblica la tua omosessualità, di fondare
addirittura un movimento, mi sembra fuori luogo. Pensa anche alla tua
attività di libraio. Quanti clienti perderai?». Quarantacinque anni
dopo, nello stand di Israele alla Fiera del Libro («Israele è l’altra
grande passione della mia vita») Angelo Pezzana ricorda quell’episodio
senza astio: «Devo ringraziare quel professore del Pci. Se è nato il
movimento degli omosessuali italiani è anche merito suo». A 76 anni il
fondatore del «Fuori!», primo nucleo organizzato dei gay nella
cattolicissima Italia, vede realizzarsi almeno una parte degli obiettivi
di quel movimento: «La legge sulle unioni civili è un primo passo.
Avrebbe potuto essere migliore certo. Ma va riconosciuto a Renzi il
merito di aver portato la battaglia fino in fondo».
Pezzana, come si passa da gay a cittadini?
«Nel
1971 il linguaggio è stato uno dei primi terreni di battaglia. Nelle
nostre riunioni facevamo un gioco: la raccolta dei termini dialettali
spregiativi con cui venivamo indicati. Qui in Piemonte era “cupio“, nel
Lazio “frocio“, in Campania “ricchione“. Avevamo deciso di chiamarci
così tra di noi, pubblicamente, per irridere all’insulto e
depotenziarlo».
Il movimento nasce a Torino da un gruppo di intellettuali. Qual è stata la vostra prima uscita pubblica?
«All’inizio
del 1972 siamo andati a Sanremo a protestare contro un congresso di
psichiatri convocato per risolvere il grave problema della legislazione
contro i gay. Non in tutti i Paesi europei infatti l’omosessualità
veniva punita e questo era considerato da quei medici un errore
imperdonabile».
Perché vi siete chiamati “Fuori!”?
«Inizialmente
pensavamo a “Coming out“. Poi abbiamo deciso per un nome italiano.
Quello più vicino alla traduzione era “Fuori“. Tra tante rivoluzioni che
si predicavano allora nessuno aveva ancora lanciato quella dei diritti
civili».
Vi temevano?
«La nostra rivoluzione faceva storcere
il naso a destra, al centro e anche a sinistra. Ho capito che stavamo
incidendo il giorno che mi telefonò Ugo Tognazzi».
Ugo Tognazzi?
«Si
certo. Aveva finito la produzione de “Il vizietto“, la storia di due
omosessuali che gestiscono un locale a Saint Tropez. Era il 1978.
Tognazzi venne un giorno a casa mia con una copia del film. Me lo fece
vedere in anteprima. Voleva sapere se avremmo protestato per il modo con
cui era stata trattata l’omosessualità».
Superò l’esame?
«Certo.
Era un film scherzoso, non intellettuale e non ideologico. Ma era un
film che avrebbe contribuito ad aprire gli occhi al grande pubblico».
Cose che accadevano quarant’anni fa. E oggi?
«Il
fatto che in Italia si sia finalmente riusciti ad avere una legge sulle
unioni civili nonostante l’influenza ancora forte e trasversale
dell’oscurantismo cattolico, è un risultato importante. E’ giusto
riconoscerlo ed è assurdo sostenere che siccome la legge avrebbe potuto
essere migliore, allora non va bene».
Avrebbe potuto?
«Certo. Non perdonerò mai ai 5 stelle di aver sabotato la versione precedente al Senato.
Lei ha combattuto per quarantacinque anni. Qual è stato il prezzo più duro?
«Un prezzo pesante. Ho perso il treno della mia vita. Non ho avuto il tempo di costruirmi una famiglia con dei figli».
Una famiglia?
«La famiglia e i figli. Sono importanti sa? E poi i figli degli omosessuali non arrivano mai per errore. Sono sempre voluti».