Repubblica 13.5.16
L’urgenza di una riforma
di Vito Mancuso
FORSE
ci troviamo al cospetto della prima significativa mossa di quella che
potrebbe essere una rivoluzione davvero epocale. Credo la più importante
tra tutte le meritorie iniziative di riforma intraprese finora dal
pontificato di Francesco. Se c’è una via privilegiata infatti per il
rinnovamento di cui la Chiesa cattolica ha oggi un immenso bisogno, essa
è la via femminile.
PIÙ della riforma della curia, più
dell’ecumenismo, più della riforma della morale sessuale, più della
libertà di insegnamento nelle facoltà teologiche, più di molte altre
cose, l’ingresso delle donne nella struttura gerarchica della Chiesa
cattolica avrebbe l’effetto di trasformare in modo irreversibile tale
veneranda e anche un po’ acciaccata istituzione.
Prendendo atto
dell’emancipazione femminile ormai giunta a compimento in Occidente in
tutti gli ambiti vitali, Giovanni Paolo II aveva prodotto una serie di
documenti altamente elogiativi verso ciò che egli definiva “genio
femminile”, si pensi alla lettera apostolica
Mulieris dignitatem
del 1988 e alla specifica Lettera alle donne del 1995. Né in questi
testi né altrove però il papa polacco definì mai cosa intendesse
realmente con tale espressione, usata in seguito più di una volta anche
da Benedetto XVI nei suoi interventi in materia. Anche papa Francesco
nell’esortazione apostolica
Evangelii gaudium del 2013 ha parlato
di “genio femminile”. Ieri però, con l’apertura al diaconato femminile,
parlando davanti a oltre ottocento suore superiore, questa ermetica
espressione papale ha ricevuto finalmente la possibilità di passare da
edificante proclamazione retorica a concreto sentiero istituzionale.
Forse a breve non si parlerà più di genio femminile, ma di geni
femminili, perché le singole donne avranno finalmente la possibilità di
tornare a donare a pieno titolo il loro patrimonio genetico all’intero
organismo di madre Chiesa, la quale ora nella sua mente è femminile
unicamente quanto alla grammatica, mentre quanto al diritto canonico è
esclusivamente maschile (e da qui le deriva l’attuale sterilità, perché
anche la vita spirituale, oltre a quella biologica, ha bisogno di
cromosomi y e di cromosomi x).
Ho usato l’espressione “tornare a
donare” perché l’apertura al diaconato femminile da parte di Francesco
non è una novità assoluta, già nel Nuovo Testamento si parla di
diaconesse. Anzi, tale apertura papale può comportare la rivoluzione
epocale di cui parlavo proprio perché rimanda a una doppia fedeltà: a
una fedeltà al presente, al fine di rendere la Chiesa cattolica
all’altezza di tempi in cui l’emancipazione femminile è almeno in
Occidente un processo pressoché compiuto, e a una fedeltà al passato, al
fine di recuperare la straordinaria innovazione neotestamentaria quanto
al ruolo delle donne. Se si leggono i Vangeli infatti si vede come
Gesù, in modo del tutto discontinuo rispetto alla prassi rabbinica del
tempo, ricercasse e incoraggiasse la presenza femminile. Luca per
esempio scrive che nel suo ministero itinerante «c’erano con lui i
Dodici e alcune donne», dando anche i nomi delle stesse: Maria
Maddalena, Giovanna, Susanna e aggiunge «molte altre», espressione da
cui è lecito inferire un numero di seguaci donne più o meno pari a
quello dei seguaci uomini. Non deve sorprendere quindi che la Chiesa
primitiva conoscesse le diaconesse, come appare da san Paolo che scrive:
«Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di
Cencre» (Romani 16,1; il testo ufficiale della Cei purtroppo è infedele
all’originale perché traduce il greco diákonon con “al servizio”! Ben
diversa la Bible de Jérusalem che traduce correttamente “ diaconesse de
l’Église”).
Che esito avrà l’istituenda commissione di studio sul
diaconato femminile? Quanto tempo passerà prima che sia effettivamente
al lavoro? Quanto prima che consegni i risultati? E questi che sapore
avranno? Sono domande a cui al momento non è possibile rispondere, di
certo però la riforma al femminile di papa Francesco è un’urgenza da cui
la Chiesa non si può più esimere. Si tratta semplicemente di giustizia:
quando si entra in una qualunque chiesa per la messa le donne sono
sempre in netta maggioranza, com’è possibile che nessuna di esse possa
commentare il Vangelo dall’altare? Il diaconato femminile metterebbe
fine a questa ingiustizia e aprirà molte nuove strade.
È un sogno
destinato ad avverarsi? Nessuno lo sa, certamente però il successo della
riforma al femminile di papa Francesco dipenderà dalla capacità di
saper mostrare la doppia fedeltà che vi è in gioco: fedeltà alle donne
di oggi e fedeltà al Maestro di duemila anni fa, fedeltà all’attualità e
fedeltà a quell’eterno principio di parità emerso al momento della
creazione: «E Dio creò l’essere umano a sua immagine, a immagine di Dio
lo creò, maschio e femmina li creò» (Genesi 1,27).