venerdì 13 maggio 2016

Repubblica 13.5.16
Dopo la chiusura dei Balcani, percorsi alternativi. E il sospetto: “È la vendetta di Al Sisi”
Sulla nuova rotta che passa per l’Egitto l’ombra della crisi tra Italia e il Cairo
di Giuliano Foschini Vladimiro Polchi

Non è stato un caso. L’arrivo in Sicilia dei barconi con centinaia di siriani è la prima rappresentazione di un fronte nuovo e delicato che potrebbe rendere molto calda l’estate dell’immigrazione italiana. Un fronte che, politicamente, mostra due facce: quella della nuova politica dell’Unione europea, con la chiusura della rotta balcanica. E, forse, anche, quello dello scontro in corso tra il governo italiano ed egiziano sul caso Regeni. Gli avversari di Al Sisi lo avevano detto sin dal principio: «Si vendicherà facendo arrivare sulle coste italiane centinaia di migranti che fin qui aveva invece controllato». La previsione sembrava azzardata. Ma lo sbarco di queste ore sembra andare in quel senso.
«I trafficanti, subito dopo la chiusura dell’accordo Ue-Turchia, si sono messi alla ricerca di rotte alternative, perché la domanda dei profughi che voglio raggiungere l’Europa resta altissima», spiega Christopher Hein, consigliere strategico del Cir (Consiglio italiano rifugiati). «L’esplosione della rotta mediterranea era prevedibile. Secondo le prime ipotesi, i siriani partono dalla Turchia (dove sono 2 milioni e 700mila), dal Libano (un milione e 48mila), dalla Giordania (642mila) e dalla stessa Siria. Evitano Israele, dove resta impossibile passare, entrano in Giordania via terra, si imbarcano sul Mar Rosso e arrivano in Egitto, nel Sinai. Poi dall’Egitto, partono per l’Italia. Una rotta via mare ben più lunga di quella dalla Libia e assai più pericolosa».
Dal Viminale già fanno i conti con la nuova rotta: «Dei 31.258 migranti arrivati finora via mare nel 2016 il 90 per cento è partito dalla Libia. Dall’Egitto abbiamo contato poco più di 5 grandi imbarcazioni in quattro mesi». Ora l’arrivo dei siriani mette paura. «È un campanello d’allarme sulla tenuta dei controlli sulle coste egiziane». Eppure sempre dal ministero fanno sapere che la collaborazione tra le forze di polizia dei due Paesi resta buona: «Addestriamo agenti egiziani dedicati ai controlli di frontiere e abbiamo nostri operatori in Egitto. Non solo. Con il Cairo abbiamo un buon accordo bilaterale per la riammissione dei migranti economici».
Circola solo un sospetto: «Non vorremmo che il caso Regeni e le tensioni tra i due Paesi spingessero le autorità egiziane a chiudere un occhio sulle partenze dalle loro coste». E proprio quello del tema immigrazione come conseguenza del rapporto teso tra i due Paesi, sin dal principio, era stato indicato come una delle possibili e peggiori conseguenze (accanto al discorso energetico, con gli interessi dell’Eni) del deterioramento dei rapporti tra Italia ed Egitto. La prima allerta dei servizi italiani era arrivata circa un mese fa quando avevano registrato partenze da zone non egiziane, ma fino a questo momento “controllate” dalle forze di polizia di Al Sisi. «È un segnale — avevano detto — che qualcosa si sta rompendo». Evidentemente non avevano tutti i torti. La nave in arrivo rappresenta effettivamente una novità.
Da quando infatti i due Paesi, circa due anni fa, avevano firmato un accordo di reciprocità sul traffico di esseri umani, l’Egitto non era più un problema. La rotta era ben controllata grazie anche a un protocollo giudiziario che sembrava tenere e che aveva avuto anche una parentesi nera: il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, aveva firmato con il collega del Cairo, Hisham Barakat, un accordo che permetteva la messa in rete dei dati degli scafisti. Un passo fondamentale per identificare i trafficanti di esseri umani. Ma qualche settimana dopo quella firma, Barakat rimase ucciso in un attentato terroristico organizzato dai Fratelli Musulmani.
Esiste poi un secondo problema che riguarda, l’arrivo dei cittadini egiziani. I numeri sino allo scorso anno sono stati molto bassi ma negli ultimi mesi si sta registrando un incremento che preoccupa le Ong che monitorano i flussi. Li preoccupano soprattutto in relazione all’accordo che l’Italia ha con l’Egitto: il protocollo prevede infatti il rimpatrio. Ma, come ha sottolineato anche nei mesi scorsi il Viminale con una circolare, non prima che venga data la possibilità ai migranti di chiedere comunque l’asilo politico per motivi umanitari. Richiesta che viene quasi sempre rigettata dalle commissioni, ma comunque va garantita. «In sostanza — spiegano alcuni dei legali che seguono abitualmente i richiedenti asilo — stiamo rimandando indietro cittadini che scappano dal regime di Al Sisi, lo stesso che tollera la scomparsa di una persona al giorno e che, fino a prova contraria, ha nei suoi apparati la responsabilità della morte di Giulio. Come può l’Italia rimandare indietro oppositori politici in un paese dove i diritti civili non sono garantiti?». Una domanda, questa, che sentiremo ripetere più volte nei prossimi mesi.